Docenti universitari da una parte, studenti dall’altra. Se nella prima edizione dello sciopero delle sessioni di esame gli uni e gli altri si sono trovati vicini, quasi dalla stessa parte dello schieramento, ora no, non solo la distanza tra le parti si è fatta abissale ma allo stato attuale dei fatti si può tranquillamente parlare di conflitto aperto.
“Lo sciopero mi danneggia perché sono uno studente lavoratore e ogni appello è importante. Lo sciopero mi danneggia perché non si può rivendicare un diritto sulla pelle di chi non ne ha e non può difendersi. Lo sciopero mi danneggia perché rischia di farmi perdere la borsa di studio. Lo sciopero mi danneggia perché stanno colpendo i miei pochissimi diritti”.
Sono queste alcune delle motivazioni addotte nell’arco di queste settimane da associazioni, gruppi e sindacati di studenti, tutti mobilitati per scongiurare uno sciopero che oltre ad essere dannoso per gli universitari, probabilmente risulterà infruttuoso per chi ha deciso di portarlo avanti, con tanta sorda determinazione e senza il benché minimo buon senso. Il diritto allo sciopero e alla sollevazione civile non può essere messo in discussione ma l’assenza di un esecutivo vero e proprio con cui confrontarsi svuota la protesta di ogni significato.
“È questo il momento giusto, abbiamo aspettato sin troppo”. Questa la replica del Movimento per la dignità della docenza universitaria. Le istanze dei docenti, c’è da ricordarlo, sono state accolte in parte con interventi mirati in legge di bilancio. Non tutto il pregresso relativo al quinquennio 2011-2015 è stato recuperato a livello retributivo e pensionistico ma qualcosa è stato fatto. Di più, al momento, difficilmente si potrebbe fare, in primis perché, lo ribadiamo, non esiste interlocutore che possa accogliere nessun tipo di istanza.
Se lo sciopero viene inteso dai docenti universitari aderenti come una necessità che può non considerare l’attuale situazione politica, allora la protesta nuocerà loro e sarà questo l’unico risultato che riusciranno ad ottenere. Avranno l’opposizione degli studenti, quella di tanta parte di colleghi che deciderà di non aderire, per non parlare di una campagna stampa legittimamente avversa, col rischio che il luogo comune e il falso mito possano tornare in auge per tratteggiare malamente un’intera categoria: i professori universitari sono un’élite, lavorano poco, guadagnano già tanto e scioperano perché vogliono più soldi. Chi glielo dice poi che le cose non stanno esattamente così?