Il Grande Torino ha lasciato la vita terrena

è entrato nella leggenda: e ha superato quella collina (Superga)

 

Il 4 Maggio non sarà mai, una data qualsiasi, per chi ha ascoltato i racconti dai nonni e dai genitori, di ciò che ha rappresentato il Grande Torino.

In una giornata piovosa e piena di nuvole, il cielo del capoluogo piemontese venne squarciato anche dai fulmini. La strumentazione dell’aeromobile che tornava da Lisbona non funzionò. I due piloti vennero indotti in errore, nonostante le segnalazioni provenienti dalla torre di controllo. Il mezzo andò a sbattere contro il basamento della Basilica di Superga, e, a distanza di tante centinaia di metri dalla zona collinosa, come avrebbero raccontato alcuni testimoni.

Naturalmente non c’erano i mezzi di comunicazione che sarebbero arrivati oltre 40 anni dopo, e quindi la notizia passava di persona in persona. Fino a raggiungere i dirigenti presso la sede e il campo d’allenamento, il famoso Filadelfia, per giungere in città, tra il dolore, la commozione, i pianti delle persone.

Il Grande Torino non c’era più, spazzato via in un amen. Si salvarono solo Sauro Tomà, perché infortunato, e rimasto nell’antica città romana, e il presidente, Ferruccio Novo. Che ebbe il gravoso compito di portare avanti i ragazzi, responsabilizzati da una tragedia dalle incommensurabili proporzioni.

Torino si sarebbe ripresa tra il boom economico e la crescita urbanistica. Ma nel cuore dei tifosi granata e delle altre squadre, non è mai stata scordata, dai contemporanei di quel periodo, quella meravigliosa compagine. Capace di vincere prima della Seconda Guerra Mondiale, e che aveva ripreso a conquistare scudetti dopo la fine del conflitto che aveva dilaniato l’Europa.

Le testimonianze raccontavano di 31 vittime, e della sofferenza delle relative famiglie. Tra quei 31 c’era il padre di Giorgio Tosatti, che era uno dei tre giornalisti al seguito di quella squadra. La cui sfortuna assoluta era stata quella di seguire il suo splendido capitano, Valentino Mazzola, nella festa di addio al calcio di Ferreira. Che era un grande amico del talentuoso centrocampista offensivo dei pluridecorati granata torinesi.

Una nazione intera perdeva il più bel gioiello del mondo del Calcio, e, allo stesso tempo, uno dei simboli della voglia di rialzare la testa di tutta l’Italia, assieme a Ginettaccio Bartali e Fausto Coppi.

Da quel momento in poi gli attestati di umana fratellanza, affetto, amore, da parte della stessa comunità torinese e di quella del Piemonte, le lacrime davanti alla lapide che ricorda i nomi di quella sciagura, avrebbero trovato spazio e inchiostro in ogni dove.

Il Grande Torino era entrato nella leggenda. Come direbbe il valido poeta e collega RAI Claudio Valeri, era arrivato…OLTRE, QUELLA COLLINA.

GRANDE TORINO per SEMPRE.