John Stockton esemplare per fedeltà bravura tecnica: 19 anni d’amore con gli Utah Jazz

Era nel Dream Team in una squadra di fenomeni, lui, campione di Self-Control

 

John Houston Stockton è stato un playmaker di Pallacanestro tra i più stimati di ogni tempo. Oltre ad avere avuto un ruolo nella storia degli Utah Jazz, ha fatto parte di una meravigliosa edizione della nazionale statunitense olimpica. Quella del 1992 a Barcellona, passata alla Storia dello Sport come Dream Team, la squadra da sogno, quella con Earvin Magic Johnson, Larry Bird, Charles Barkley, Clyde Drexler e compagnia bella.

Stockton ha militato per tutta la carriera nella stessa franchigia, dal 1984 al 2003, gli Utah Jazz, appunto. Già nel 1980 con Gonzaga a livello scolastico batte il record cittadino di punti in una stagione. Decide anche a livello universitario di restare a Spokane, nell’Università di Gonzaga. Finisce con la laurea nel 1984 con quasi 21 punti di media ed il 57% dal campo. E, soprattutto, avrebbe contribuito a costruire il record di vittorie della sua squadra (17) dopo un’attesa lunga 17 anni.

Nella circostanza il bravo playmaker e guardia tiratrice fa dei provini con la nazionale olimpica nello stesso anno di Los Angeles, ma viene scartato. In quell’occasione incontrerà per la prima volta Karl Malone, che avrà come compagno di viaggio inamovibile.

Si cimenta con il draft, la chiamata dei club della NBA ai giocatori delle università, e viene scelto alla sedicesima chiamata da Utah, che fa un vero e proprio affare. In 18 anni, infatti, con Karl Malone, celebre passatore soprannominato The Mail Man, Il Postino, giocano 1412 partite e arrivano 5 finali nella Divisione dell’Ovest, le cosiddette finali di conference, e 2 finalissime per il titolo NBA. Divenne celebre la frase “Stockton to Malone”, in quanto i due si trovavano perfettamente in campo ed erano ottimi amici anche fuori dal parquet. Malone, grazie agli assist di John, diventa il secondo marcatore della storia della National Basketball Association, dopo il grande Kareem Abdul-Jabbar.

Stockton, in quasi 20 anni di carriera da professionista, diventa il primo per numero di assist e di palle rubate o se preferite palle recuperate. Inoltre con il 51,5% ha la migliore percentuale di tiro di sempre nel ruolo di guardia. Ha anche il record di partite consecutive con la stessa maglia, saltandone pochissime in carriera.

Alla fine della strada da giocatore era scontato il ritiro della sua maglia, la numero 12. A Salt Lake City, località famosa in tutto per il mondo per lo Sci Alpino, ha anche una via intitolata a lui, oltre alla consueta statua insieme a Malone.

Un peccato che con questi record i due non abbiano mai vinto un titolo ma l’epoca era piena di campioni, da quelli di Boston a quelli di Los Angeles, e soprattutto si sono scontrati con l’epopea di Michael Jordan e dei Chicago Bulls. Oltre alle statistiche, ai numeri, ai paragoni, John Stockton è stato fondamentale per il basket in senso assoluto. Tutto ciò nonostante la sua scarsa altezza rispetto alla maggior parte degli avversari incontrati, e dei suoi stessi compagni di squadra; e il fatto anche di essere un bianco erano bilanciate da diversi fattori. Da una forza mentale difficilmente raggiungibile, a una grande cattiveria agonistica, mista a una ferrea volontà.

John Stockton è stato l’uomo del Self-Control, come evidenziò Magic Johnson in occasione dell’inserimento di quell’inarrivabile Dream Team nel Tempio delle Celebrità, la Hall of Fame di Springfield.

Dall’esterno parliamo di un uomo e un cestista che è stato un personaggio puntuale, serio, rispettoso e silenzioso, quanto si applicava sui parquet di tutta America. Un playmaker vero come non ne sarebbero più esistiti, nella evoluzione del basket.

Un esempio di gestione sia fisico che dal punto di vista del comportamento, per i giovani. John Stockton.