La difesa di Stefano Binda prepara il ricorso in appello dopo che la Corte d’Assise di Varese ha condannato all’ergastolo Binda per l’omicidio di Lidia Macchi avvenuto il 5 gennaio 1987 a Cittiglio (Varese). Del giallo si è parlato a “La Storia Oscura” trasmissione curata e condotta dal nostro Fabio Camillacci su Radio Cusano Campus. E’ intervenuto anche l’avvocato Sergio Martelli, legale di Stefano Binda.
OMICIDIO MACCHI: LA SENTENZA DOPO 31 ANNI DALLA MORTE DELLA RAGAZZA
“E’ stato un processo mediatico, quindi molte notizie sono emerse anche nel corso del dibattimento e molta gente -ha detto l’avvocato Martelli-si è fatta un’idea completamente diversa e cioè che dopo più di 30 anni non si sia riusciti a ricostruire nulla circa i fatti, mentre noi avevamo e abbiamo la prova che Stefano Binda quando fu uccisa Lidia Macchi era in vacanza a Pragelato in Piemonte: abbiamo dei testimoni che lo hanno riconosciuto. Testimoni che peraltro la Corte non ha citato per falso o reticenza. Questo aspetto e un’altra serie di circostanze nette e precise ci fanno dire che era più facile assolvere l’imputato piuttosto che condannarlo all’ergastolo. E poi va detto che nonostante la sentenza di condanna, il movente del delitto non è emerso, perché la stessa Procura Generale ha ricostruito un movente, la parte civile un altro, forse poteva essercene un terzo. Cioè tre moventi diversi per una condanna all’ergastolo.
Gli indizi per una condanna di questo genere devono essere gravi, precisi e concordanti e nel caso di Stefano Binda non è così.
E a proposito della famosa lettera, un noto avvocato di Brescia ci ha detto di aver ricevuto il vero autore di quella missiva chiedendomi di riferire questa cosa alla Corte ma senza fare il nome di questa persona; anche perché non è certo che sia stato proprio l’assassino a scriverla. E comunque noi adesso faremo anche un appello in cui diremo, se qualcuno ha scritto questa lettera lo dica perché qui non si sta scherzando, c’è un ergastolo di mezzo. Una lettera per me poco significativa anche perché molti periti hanno ritenuto che potessero scriverla in tanti. Oltretutto abbiamo una perizia con un livello scientifico importante secondo la quale non fu Binda a scrivere quella lettera. Perizia che contrasta con quella dell’accusa. Ecco perché tutti, Procura, parte civile e noi avvocati difensori, chiedemmo una perizia terza che risolvesse l’enigma ma non è stata concessa”.