Pochi autori riescono a portarti con se in un bar, a raccontarti le loro scorribande, a prenderti per il naso e a farti pagare, felice, il loro conto magari mentre ti accorgi che ti hanno appena fregato la donna. Bukowski è uno di questi, il primo che lo ha fatto con quella vena romantica e di nascosto riscatto che c’è, spesso, nei suoi personaggi seppur sconfitti. Beveva Bukowski, tanto, ed era la seconda (ma forse anche la prima) cosa che amava di più, l’altra? Bhè probabilmente la sapete o l’avete capita: scommettere sui cavalli ovviamente, cosa pensavate? Ma si certo c’è anche quello chiaramente. Le donne sono sempre presenti nei suoi racconti, le ama tutte (o quasi) le possiede tutte (o quasi) le perde tutte (o quasi) ed ogni volta che nella penombra della sua stanza le vede allontanarsi o dormire, con la sigaretta che fuma in una mano e la bottiglia di whisky vuota a terra, ti sembra di vederle e di vederlo “l’antieroe” come lo ha definito qualcuno, un poeta per altri, “un vecchio sporcaccione” come lui stesso si identifica in un suo libro. Uno che sapeva scrivere prima di tutto e che lo sapeva fare bene, perché puoi anche scolarti l’intero magazzino di un’enoteca ma se non sai mettere due parole in fila sei e sarai sempre solo un alcolizzato e non uno scrittore.
La Campana non suona per te
Lo chiamano “realismo sporco” ed è quella narrazione che arriva al cuore passando per la pancia del lettore, passando per le sue viscere per il suo intimo spesso nascosto, sicuramente celato ai più. Guanda da qualche mese propone, con la raccolta dal titolo La Campana non suona per te, quarantaquattro racconti “del vecchio sporcaccione” che Charles Bukowski ha pubblicato su varie riviste underground americane tra il 1948 ed il 1985. Una palestra per lui che ha così modo di affinare ritmo, stile e tematiche della narrazione che lo renderanno celebre, una festa con sbronza per noi lettori. E se per Hemingway quella campana era una questione sospesa riguardo la condizione umana del “non essere un’isola” per il vecchio Hank non c’è dubbio: Sei solo amico, lo siamo tutti. Bevici su.
Andrew Wolfli