Burnout, gli insegnanti non hanno rivali. Quando ci si ritrova a discutere di mestieri usuranti a livello psicofisico, con grande difficoltà all’interno delle professioni più logoranti, viene inserita la figura dell’educatore, del maestro, dell’insegnante e del professore. Perché? Una delle motivazioni principali risiede in quel sentire comune che troppo spesso è inquinato e intossicato di falsi miti, luoghi comuni e dicerie. Un insegnante ha 3 mesi di ferie e ha il privilegio di lavorare mezza giornata.

“Oltre a non essere vero – sostiene il dott. Vittorio Lodolo D’Oria, esperto di stress da lavoro correlato – mi viene da dire che un insegnante non va in vacanza ma in convalescenza, per far capire quanto stressante e logorante sia il suo lavoro per tutto l’arco dell’anno scolastico”.

“Aggiungo – continua Lodolo D’Oria – che parlare di stress da lavoro correlato ha poco senso e significa ben poco. Per gli insegnanti si può parlare a pieno titolo di burnout”.

Il termine “burnout” viene dall’inglese e vuol dire “bruciato fuori”, letteralmente scoppiato. Si può definire come lo stato di malessere che deriva dal lavoro e dalla frustrazione e che alla fine porta a “scoppiare”, perciò diviene necessario recuperare i propri spazi e la gratificazione sia sul lavoro che al di fuori.”

Quali sono le professioni maggiormente esposte al rischio burnout?

“Prenderei in considerazione quattro categorie professionali: gli insegnanti, il personale medico, quindi le “helping professions”, le professioni di aiuto agli altri, poi i cosiddetti colletti bianchi, ovvero gli amministrativi e infine gli operatori manuali. Tra questi gli insegnanti presentano un’incidenza delle patologie psichiatriche superiore anche rispetto al personale medico”.

Cosa rende l’insegnamento la professione più a rischio per quel che riguarda il burnout?

“Una delle motivazioni principali riguarda la relazione che si instaura tra l’insegnante e la sua particolarissima utenza, che è sempre la stessa: la classe. Gli studenti sfruttano sistematicamente un vantaggio numerico: trenta alunni e un insegnante. C’è sempre un rapporto asimmetrico che influenza l’insegnante impedendogli di costruire una relazione tra pari per condividere il disagio mentale. In sostanza è un rapporto continuato e prolungato come nessun altro poiché l’insegnante è con la stessa utenza per più ore, per cinque giorni a settimana per nove mesi all’anno e per cicli di tre o cinque anni. Quando affronto questa tematica mi piace tirare in ballo quello che definisco effetto “Dorian Gray” al contrario: l’insegnante invecchia mentre l’utenza a ogni ciclo ringiovanisce. Non esiste nessun tipo di lavoro così. Lo stress che ne deriva è drammatico. Se a ciò aggiungiamo che la media degli insegnanti italiani ha un’età di 50,4 anni e che l’82% degli insegnanti è rappresentato da donne, per natura più esposte al rischio di patologie psichiatriche, il quadro è preoccupante”.

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