Vittorio Pozzo il Commendatore due volte (di fila)

Campione del Mondo con l’Italia

E’ stato l’unico allenatore a ottenere così tanto, in 4 anni

 

Vittorio Giuseppe Luigi Pozzo è nato il 2 marzo del 1886 a Torino, unico allenatore, nella storia assoluta del Football, a vincere un Campionato del Mondo due volte consecutive. La sua famiglia era di Ponderano, Biella, di normali condizioni economiche, fatta da impiegati. E’ passato alla storia del calcio per aver conquistato il globo terrestre con la nazionale azzurra in due circostanze. La prima volta, con l’Uruguay detentore del Trofeo Jules Rimet, nel 1934 a Roma, 4 anni dopo, a Parigi.

Il ragazzo studia al Liceo Cavour, nel capoluogo di provincia del Piemonte. Si impegnò nelle lingue straniere che tornarono utilissime nelle sue frequentazioni, da calciatore, di Francia, Inghilterra e Svizzera.

Da calciatore giocò nel Grasshoppers, le celebri cavallette svizzere dal 1905 al 1906, anche se fa parte delle squadra delle Riserve, l’attuale Primavera. Ancora calciatore, contribuì a fondare il Torino Football Club dove disputò da atleta cinque stagioni, finendo il suo percorso nel 1911.

Una prima parentesi l’avrebbe avuta con l’Italia nel 1912, ma terminò subito, in favore di un ritorno alla società granata per dieci, lunghi, intensi anni, ma da direttore tecnico. Quindi l’Italia dal 1921 al 1924, ancora mentre viveva il Toro il che gli permette di terminare gli studi per poi entrare a lavorare nella Pirelli a Milano, subito dopo aver perso la moglie per malattia.

Un primo tracciato di riforma la FIGC lo aveva affidato a Vittorio Pozzo nel 1921 e riguardava un nuovo disegno dei campionati, con una ribellione di quelle dei tornei minori. Nel 1924 l’Italia va con Pozzo alle olimpiadi di Parigi ma esce ai quarti superati per 2-1 dalla Svizzera.

Per due anni lavora da dirigente nell’Associazione Calcio Milan prima di vivere uno stupendo rapporto d’amore, con l’Azzurro, da Commissario Tecnico, dal 1929 fino al 1948, anche se per i primi anni chiede di non essere retribuito. In mezzo due primi posti nella Coppa Internazionale e una seconda posizione in una rassegna che ha preceduto, di tanti anni, la futura Coppa d’Europa per Nazioni.

Il tecnico piemontese, a cavallo dei due Campionati del Mondo, nel 1936, a Berlino, con lo stesso blocco di atleti, vince la medaglia d’oro olimpica. E pensare che il rapporto coi Giochi Olimpici non fu dei migliori: nel lontano 1912 l’Italia venne eliminata a Stoccolma, per 3-2 ai supplementari, dalla Finlandia. La nostra era una squadra tutta da plasmare e costruire, agli albori nemmeno pionieristici, del Calcio.

Era la prima manifestazione in cui la nostra nazione si misurava al di fuori dei confini. Non andò bene. La nazionale venne ricostruita sulla base di una commissione tecnica composta ad calciatori, ex calciatori, allenatori e dirigenti federali, arbitri e persino da giornalisti.

Vittorio Pozzo a Roma nel 1934 compie il primo di due capolavori vincendo con la Cecoslovacchia ai tempi supplementari la prima Coppa Jules Rimet, il simbolo del primato mondiale.

La concretezza dei suoi risultati confermò la bontà del lavoro svolto, sul piano tattico, con un modulo passato alla storia come il Metodo, fatto di 4 difensori fissi, 3 calciatori in mezzo e 3 avanzati, precludendo, e di tanto, i tempi che sarebbero arrivati, negli anni ’70, attraverso il calcio olandese.

Ai calciatori, per prepararli, raccontava le epiche imprese dei soldati d’Italia lungo il Fiume Piave, e qualcuno sosteneva che facesse cantare le canzoni degli alpini, ai nostri rappresentanti in campo. Ma in televisione avrebbe smentito, molti anni dopo, la cosa.

Di certo la rigida applicazione della disciplina, tanto in campo quanto fuori dal rettangolo di gioco, a testimoniare la rettitudine sua, della Federazione che rappresentava – e sembra che stiamo parlando della preistoria, non di meno di 100 anni fa – e dei club di appartenenza dei singoli atleti.

La sua forza cementava il gruppo a livello umano e questo diventava un fattore di efficace compattezza, di fronte a scuole tecniche di levatura internazionale, da affrontare e superare, tanto tra le compagini europee tanto con quelle provenienti da Sud e CentroAmerica.

Qualcuno gli fece notare che fu tra i primi a utilizzare gli “oriundi”, calciatori provenienti dall’estero. Pozzo rispose: “Mi basta che abbiano servito l’Esercito Italiano. Se possono morire per l’Italia, possono anche giocare, per l’Italia”.

Il bis arriverà, puntuale, a Parigi, di fronte a un’Europa che di lì a poco avrebbe vissuto una lunga e costosissima guerra. L’Italia nella capitale francese superò per 4-2 una grandissima Ungheria nell’ultimo atto, ottenendo il secondo trofeo Jules Rimet.

Ma l’Italia non sarebbe arrivata, ben più avanti, per prima al terzo, conquistato, proprio contro gli azzurri di Ferruccio Valcareggi, dal Brasile più bello della storia, a Città del Messico nel 1970, dopo i Mondiali vinti nel 1958 in Svezia e nel 1962 in Cile.

La finale per il 3° posto del 1938 dietro all’Italia Bi-Campione del Mondo, sarebbe stata la stessa di 20 anni dopo, Brasile-Svezia, con il successo dei verde-oro carioca.

Giorgio Bocca il 7 luglio 2006, ricordava così Vittorio Pozzo, sul quotidiano La Repubblica: “Il Commissario Tecnico unico Vittorio Pozzo era un ufficiale degli Alpini e un fascista di regime. Vale a dire uno che apprezzava i treni che arrivavano in orario ma non sopportava gli squadrismi. Uno che rendeva omaggio al Monumento agli Alpini ma non ai sacrari fascisti”.

Sempre il conosciutissimo giornalista italiano scrisse: “Se ripenso ai raduni della Nazionale nella mia città, Cuneo, faccio fatica, a credere in tanta modestia. La imponeva Vittorio Pozzo, un tipo di alpino e salesiano arrivato chissà come alla guida degli Azzurri senza essere né un allenatore di professione né un burocrate dello sport. Ma semplicemente un piemontese risorgimentale ciecamente convinto delle virtù piemontesi. Uno di quelli per cui la parola sacra è “el travai”, il lavoro”.

Lo stesso Vittorio Pozzo dopo tanti anni dal suo impegno dalla panchina, sarebbe diventato un giornalista sportivo di grande rigore morale e correttezza, con La Stampa di Torino.

Tra le curiosità più rimarcate i due portafortuna che sembra aver portato sempre appresso, Pozzo. Il primo una scheggia della Coppa Internazionale caduta per terra a Budapest, dove l’Italia aveva superato i maestri della prima grande Ungheria addirittura per 5-0. E siccome il trofeo era un Cristallo di Boemia non poteva essere riparato; lui ne tenne un frammento. Il secondo prezioso compagno di viaggio in tasca era un biglietto per l’Inghilterra che un familiare gli donò ma che lui non avrebbe mai utilizzato.

Il 5 agosto 1948, ritenuto un uomo del regime trascorso, Vittorio Pozzo vide separata la sua strada da quella della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Il suo ultimo atto fu una sofferenza umanamente atroce: il riconoscimento dei corpi del Grande Torino, il 4 maggio del 1949, a Superga. Erano stati suoi calciatori, nel settore giovanile come nella prima squadra azzurra, costruita su quella magnifica compagine, rimasta nella storia e passata, per l’incidente aereo, alla leggenda. Quella squadra aveva seguito la sua strada, sul piano tattico. Infatti aveva vinto moltissimo.

Dal 1948 al 1958 Pozzo ha partecipato alla messa in piedi del Centro Tecnico Federale di Coverciano da consigliere nel direttivo tecnico.

Il 21 dicembre 1968 Vittorio Pozzo muore a Torino a 82 anni, ed è sepolto nel cimitero del paese d’origine della sua famiglia, Ponderano, provincia di Biella.

Pozzo è stato commissario tecnico della Nazionale per 6927 giorni, superato soltanto da un altro grande mediano, del Torino, tale Enzo Bearzot. Con l’Italia il Commendatore piemontese ha disputato da allenatore 97 gare con 65 vittorie, 17 pareggi e 15 insuccessi. La sua percentuale di vittorie, 67%, è ancora oggi un record, tra i CT che si sono alternati in azzurro.

Sulla prima vittoria mondiale, quella del 1934, è stata realizzata una serie televisiva nel 1990, intitolata Il Colore della Vittoria.