Jack Johnson il Gigante di Galveston

 

Oggi raccontiamo la storia del primo pugile afroamericano a diventare Campione del Mondo dei Pesi Massimi, la categoria più importante, nella storia del Pugilato: John Arthur Johnson detto Jack, nato a Galveston il 31 marzo 1878.

La sua è una famiglia di ex schiavi e lui comincia presto a combattere da professionista, già diciannovenne, nel 1897. La prima volta che sale su un ring è in occasione di un combattimento tra “neri” che si esibivano per un pubblico di bianchi, nell’America razzista di diversi suoi stati.

Nel 1901 succede una cosa particolare: Jack Johnson, secondo di sei fratelli, combatte contro l’esperto Joe Chovnski, ma in Texas boxare era fuorilegge: Jack perde l’incontro ed entrambi vengono arrestati e condannati a 25 giorni di galera. Nei quali fanno amicizia e il veterano intuisce la qualità anche di prospettiva decidendo di fargli da allenatore. Tanto che dopo la sconfitta con il veterano Chovnski Johnson per 14 anni avrebbe sempre vinto.

Nel 1902 Johnson ne aveva già battuti e buttati 50, di avversari così il 3 febbraio del 1903 supera Ed Martin soprannominato Denver e si aggiudica il campionato mondiale dei pesi massimi “di colore”, una competizione a evidente contorno razzista destinato ai soli pugili afroamericani. E diventa Campione del Mondo.

A forza di battere gli avversari nel 1908 è il primo pugile afroamericano a diventare campione del mondo assoluto, oltre a essere il primo texano, a guadagnarsi questo riconoscimento. Per ottenerlo batte il campione in carica Tommy Burns. Jack Johnson, grazie al titolo vinto, diventa il simbolo dei neri d’America, una sorta di antenato di Muhammad Alì, con oltre 55 anni d’anticipo su Cassius Marcellus Clay Junior.

Purtroppo anche lo sport viene contaminato dallo stupido, forzato dualismo tra neri e bianchi, e l’orgoglio dei secondi è rappresentato dall’atleta James J. Jeffries, imbattuto. Andò giù con Jack Johnson, che vinse. E mantenne il titolo mondiale per quasi 7 anni, poi venne sconfitto da Jess Willard, nel 1915.

Ma la persecuzione si abbatté, infame, sul “Galveston Giant”, il Gigante di Galveston. Nel 1912 fu accusato di aver violato la Legge Mann, che proibiva di portare le donne da uno stato all’altro per propositi tra il personale e l’immorale. La giuria, composta da soli bianchi, lo condannò a un anno di carcere; lui scappò con la moglie Lucille Cameron, rientrando negli Stati Uniti nel 1920. Scontò la sua pena e poi ricominciò a combattere, ma senza grandi acuti: addirittura Jack Johnson è resistito sul ring fino al 1938, a 60 anni.

Fu sfortunato, il primo pioniere dei diritti dei neri nel mondo della Boxe. Il 10 giugno 1946, amando le macchine veloci, perì in seguito a un incidente stradale.

Successivamente negli anni Sessanta e Settanta, venne preso a esempio dagli uomini di colore che lottavano in favore del Black Power.

Nat Fleischer, fondatore dell’importantissima rivista Ring Magazine, lo ha definito il miglior peso massimo che avesse mai visto”.

Nella vita privata non è stato uno stinco di santo, ed è stato sposato per tre volte, senza aver alcun figlio.

Un ulteriore riconoscimento da Pugile arrivò dalla International Boxing Hall of Fame lo ha dichiarato uno dei più grandi pugili di ogni tempo.

Il cinema non ne ha mai dimenticato le imprese e nemmeno i crescenti mezzi di comunicazione del periodo di Muhammad Alì. Un documentario sulla vita di Jack Johnson è stato prodotto dal regista Ken Burns, che ha detto: “Jack è stato il più famoso afroamericano sulla Terra per almeno 13 anni!”. L’attore che interpretò Johnson cantava «I’m Jack Johnson. Heavyweight champion of the world. I’m black. They never let me forget it. I’m black all right! I’ll never let them forget it!» (“Io sono Jack Johnson. Campione del mondo dei pesi massimi. Sono nero. Non mi hanno mai permesso di dimenticarlo. In ogni caso io sono nero! E non permetterò mai che lo dimentichino!”)

Per quel documentario la colonna sonora è stata firmata dal grandissimo musicista di Jazz Miles Davis, che gli ha dedicato l’album “A Tribute to Jack Johnson”.

La sua storia venne raccontata dall’attore James Earl Jones nel film “Per salire più in basso”, uscito nelle sale cinematografiche statunitensi nel 1970.