Come curare il mal di testa con le piante officinali. Il Dott. Giuseppe Tagarelli (Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo) è intervenuto a ‘Genetica Oggi’, trasmissione condotta da Andrea Lupoli su Radio Cusano Campus.

Piante officinali per curare il mal di testa:  di che ricerca parliamo?

La ricerca è stata riportata su una rivista specializzata internazionale, che ha portato alla luce le piante che venivano utilizzate per curare la cefalea. Si tratta dalla medicina popolare italiana del XIX-XX secolo. Dal nostro lavoro è emerso che circa il 79% delle piante utilizzate allora contengono molecole potenzialmente in grado di curare alcuni tipi di mal di testa.

Era possibile già nel XIX-XX secolo gestire la cefalea con questi principi estratti dalle piante?

Si, la prima cosa emersa è che alcune di queste piante erano note per curare il mal di testa già ai tempi di Plinio, Dioscoride e Galeno. Ad oggi possiamo reputare errata l’idea di medicarsi con le piante, ma poniamo l’attenzione sul fatto ripeto che il 79% di queste piante presenta dei metaboliti secondari, utili per la produzione di nuovi farmaci contro le cefalee.

Di quali piante parliamo?

L’elenco è molto lungo: la bieta, il girasole sambuco, la cipolla, il ciclamino, la ruta, l’anice.  Queste piante contengono quei indicativi che sembrano inibire alla produzione di prostaglandine, di ossido idrico e in generale di quelle citochine infiammatorie che oggi sono ritenute alla base dei processi metabolici responsabili di alcune cefalee.

Potrebbero essere trattati altri stati infiammatori o disturbi articolari?

Si, si intende una serie di patologie genere che vanno dal cancro fino alle malattie osseo-articolari. Su alcuni casi di laboratorio, inoltre, alcuni di questi principi attivi si comportano esattamente con i fans, i farmaci che geneticamente assumiamo quando abbiamo il mal di testa comune.

Chi mangia queste piante, può sperare in un’azione attiva contro il mal di testa?

Sì, alcune possono avere un effetto farmaceutico. Questo perché non dobbiamo mai dimenticare che gli estratti, anche solo di erbe, potevano essere considerati come farmaci e come tali, però possono avere intolleranze o controindicazioni.

Alla luce di questo, c’è stato negli ultimi anni un abuso di alcuni termini per favorire dell’impiego di alcuni farmaci?

La cronaca ci insegna che sulle cellule staminali sono stati utilizzati dei protocolli rivelatisi poi non del tutto efficaci. Ritengo che la nostra è stata una ricerca scientifica rigorosa e proprio perché siamo abituati a ragionare in termini scientifici, sottolineo l’importanza di assumere queste sostanze vegetali con cautela perché non possono considerarsi veri e propri farmaci.

Proseguirete con questa ricerca? Il risultato ottenuto aprirà a nuovi orizzonti?

Ci stiamo accingendo a scrivere un nuovo lavoro su questa metodologia rivolta alla cura che veniva utilizzata per le malattie dermatologiche di origine batterica. Questo è estremamente interessante alla luce del fatto che oggi i batteri hanno sviluppato un’importante resistenza alle molecole sintetiche, quindi agli antibiotici normalmente utilizzati. Questa ricerca potrebbe essere un ottimo punto di partenza per avere dei metodi o dei farmaci alternativi a quelli di sintesi.

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