Julinho, quei tre anni per stupire l’Italia

Fu Campione d’Italia con la Fiorentina, che si arrese al solo

al primo, grande Real Madrid in finale di Coppa Campioni

 

La Storia del Calcio si è compiuta grazie a grandi interpreti dei singoli ruoli. Oggi esaltiamo le doti e ricordiamo la figura di Julio Botelho detto Julinho, ala destra di grande talento e evidente classe, capace di lasciare un segno indelebile, in Italia, con la casacca della Viola.

Julinho nasce a San Paolo del Brasile il 5 agosto del 1929. Arriva in Italia a 26 anni, nel 1955, quando viene ingaggiato come “Oriundo” dalla Fiorentina; proprio lui che aveva un nonno italiano, toscano di Stassena, provincia di Carrara, il quale arrivato in Brasile alla fine dell’Ottocento, aveva cambiato il cognome da Botelli a Botelho. Quell’anno Julinho giunse a Firenze con un altro campione sudamericano, l’argentino Montuori. Il brasiliano giocava nel Portoguesa de Desportes. Con la nazionale carioca aveva giocato i Campionati del Mondo del 1954 in Svizzera passati alla storia come il “Miracolo di Berna”, in cui la Germania dell’Ovest rimontò due reti di svantaggio alla grande Ungheria, segnandone ben tre, ai magiari, nel corso di un indimenticabile secondo tempo. In quella rassegna mondiale Julinho fu notato da Fulvio Bernardini, di cui abbiamo ricordato la figura qualche giorno fa: tecnico della Fiorentina, “Fuffo” ne segnalò la bravura ai dirigenti viola. Anche se la moglie di Julinho non avrebbe voluto lasciare il Brasile per attraversare il mare: partì proprio Bernardini, col vice-presidente fiorentino Pacini, per convincere i coniugi con una sostanziosa offerta economica. La Fiorentina lo pagò 60 milioni, un cifrone, per l’epoca, dando, ogni mesi, al calciatore, uno stipendio di 350mila lire.

Nei tre anni con la maglia della Viola Julinhio giocò tre stagioni, 90 partite e segnando ben 22 gol, oltre a tante rifiniture per mandare al tiro e in rete i compagni più impegnati in posizioni più avanzate. Uno dei primi esterni della storia del calcio della seconda metà del ‘900. Tanto che nel 1956 la Fiorentina ottenne il primo scudetto della sua storia, con Bernardini allenatore di grande saggezza e duttilità tattica. Quel titolo tricolore mandò in estasi Firenze e tutta la Toscana, perché al Milan, Campione d’Italia in carica, e secondo classificato, nella circostanza vennero inflitti ben 12 punti di distacco. Una vittoria che nel Ciclismo avrebbe assunto contorni epici, da arrivo sul traguardo a braccia alzate. Julinho ha formato un trio di giocatori d’attacco straordinario, assieme a Montuori e Virgili, e dei tre era quello che non sciupava mai un pallone, uno col cervello da registra, quindi da centrale, ma con una potenza muscolare e una capacità di andare in profondità degne dei migliori attaccanti. Tanto che la Fiorentina è stata nella storia del calcio moderno, la prima italiana a giocarsi una Coppa dei Campioni. Accadde nel 1957 contro il grandissimo Real Madrid, che, giocando in casa, vinse 2-0 con i gol di due grandissimi interpreti, Di Stefano e Gento.

Ma come nelle belle favole dopo soli tre anni Julinho venne costretto dalla moglie, che era stata quella convinta per ultima, a farlo venire in Italia, a farlo ripartire. Si diceva, all’epoca, che il calciatore avesse intrecciato una relazione extraconiugale, in un’Italia già avversa alla storia della Dama Bianca con Fausto Coppi, quando l’adulterio era un reato e l’opinione pubblica si schierava sempre in favore delle donne abbandonate sotto al tetto coniugale a maggior ragione se con prole. Ebbene: la moglie di Julinho era preoccupata per la piega che rischiava di prendere il loro rapporto, e lo mise davanti al fatto compiuto. Julinho dovette accettare il “forzato” rimpatrio, chiude la carriera da calciatore dedicandosi a quella di allenatore del settore giovanile del Palmeiras. Quando lascerà anche il ruolo di tecnico e il mondo del Calcio, sarà un commerciante a tempo pieno, come attività principale.

Un passo indietro lo facciamo per tornare al 1958, appena rientrato in Brasile, perché è particolare, la storia del calciatore Julinho con la Seleçao, la nazionale verde-oro. A soli 29 anni lui ha già preso parte al Mondiale del 54, non vinto. Però ora è diverso. Il Brazil gioca una partita amichevole di lusso, contro i maestri del Football, i leoni dell’Inghilterra. Quando vengono lette le formazioni, in un Maracanà stracolmo con 200.000 spettatori (!), i tifosi presente parlano di tradimento assoluto, e fischiano: perché non gioca l’idolo di casa, Manoel Dos Santos, già diventato Garrincha, sostituito da uno che è andato in Italia, a giocare al Calcio!

Durante la partita Julinho manderà al manicomio il terzino sinistro inglese e per lui è un trionfo. I fischi, gli insulti, la contestazione si trasformano in applausi, stupita ammirazione, ammissione di un chiaro valore di cui è dotata la fortissima ala destra: dotato di dribbling, rapido, in velocità e progressione, e accompagnato dalla potenza di tiro. Strano ma vero, contro l’Inghilterra sarà una delle ultime partite di Julinho con la maglia del Brasile. La federazione brasiliana, infatti, aveva messo un insormontabile ostacolo, un paletto preciso: aveva proibito a chi fosse stato sui campi di calcio stranieri di tornare in maniera costante in Nazionale. Il resto lo ha fatto il duello per quella porzione di campo con Garrincha, idolo assoluto del popolo. Nonostante negli ultimi anni di carriera l’ex ala destra della Fiorentina sculettata abbia giocato grandi stagioni, col Palmeiras, una squadra che annoverava campioni meravigliosi quali Djalma Santos e Vavà, uno dei tre moschettieri con Didì e Pelé del primo, immenso Brasile Campione del Mondo in Svezia, nel 1958.