Earl Monroe il Black Jesus che

portò i New York Knicks al titolo 1973

 

Oggi vi parliamo di uno dei primi apristrada della pallacanestro americana, Vernon Earl Monroe, che di recente ha compiuto 73 anni ma che è stato uno dei primi a dare un senso, alla immensa popolarità del basket dell’NBA.

Di ruolo Playmaker, ovvero costruttore di gioco, allenatore in campo, dotato di grande rapidità di esecuzione in entrata e penetrazione, nonostante i suoi 191 centimetri per 84 chili di peso; ma anche di grande lettura della posizione dei compagni di squadra da mandare a canestro. Non a caso ha avuto i natali in una città che vive di e per lo Sport, soprattutto per la Palla a Spicchi, Philadelphia, la Città dell’Amore Fraterno, dove viene alla luce in un giorno di novembre, il 21, dell’anno 1944; numeri che resteranno negli annali, grazie al suo talento, della amata disciplina. Eppure nel complicato quartiere Sud della città, sembra piacergli di più il Football Americano, ma a 14 anni supera il metro e 90 e diversi allenatori, a scuola, lo notano, per forza, e lo portano su un parquet, dal quale non si staccherà più. Ha dei numeri, il cambio di direzione, veloci finte, un’elevazione incredibile, per quell’età. E Vernon Earl Monroe, nella John Bartram High School, viene soprannominato Thomas Edison, perché illumina il gioco. La stampa locale lo comincia a chiamare Gesù Nero, Black Jesus. All’Università va alla Winston-Salem State University, complesso accademico perlopiù frequentato da ragazzi di colore, da afroamericani. Qui l’incontro con Coach Clarence Gaines, che vede le sue doti e ne migliora la tecnica. Passa dai 7 punti a gara del primo anno di studi al college agli altri 23 del secondo e quasi 30 del terzo. Nell’ultimo anno prima della laurea ha una pazzesca media: 41 punti e mezzo a partita giocata! Diventa il giocatore dell’anno prima della finale, vinta dai suoi Rams, che conquistano la 2° divisione dell’NCAA, la Serie B delle Università degli Stati Uniti d’America. Un giornalista sportivo del posto parla di “Earl’s Pearls”, le perle di Earl. Era nato un Campione, destinato all’NBA: Earl The Pearl Monroe.

A 23 anni il predestinato Monroe è chiamato come seconda scelta assoluto al primo giro del Draft NBA dai Baltimore Bullets, che oggi sarebbero i Washington Wizards, i Maghi. Diventa matricola dell’anno in una stagione povera, per la squadra di Baltimora; ma, udite, udite!, in campionato, Earl segna ai Los Angeles Lakers, da solo, 56 punti, il terzo più elevato punteggio segnato da una matricola in tutta la storia della National BasketBall Association. Intorno a lui i proprietari dei Bullets costruiscono una squadra da posizioni più alte, insieme a Wes Unseld. E lui vola a quasi 26 punti di media a partita gestendo con l’illustre compagno un attacco che viene chiamato “Run (corri) and gun (spara cioè tira)”. Per 3 anni di fila i Bullets vanno ai play-off. Non era mai successo. Non era preventivabile. Nel 1969 Monroe viene chiamato all’All Star Game dove segna 21 punti, a soli 25 anni compiuti. L’anno stesso in cui i New York Knick sbattono fuori i Baltimore Bullets agli ultimi secondi ma Monroe viene inserito nel primo quintetto NBA. Nel 70 la storia si ripete: avanti New York, Baltimora fuori. Ma nel 71 la rivincita si consuma: fuori i grandi Knicksbrockers. I Baltimore vincono la Eastern Conference, il Campionato della Costa dell’Est degli Stati Uniti d’America, e conseguono il diritto a giocarsi il titolo contro i Milwaukee Bucks del più grande giocatore di quella stagione sportiva, tale Lew Alcindor. Non vi suggerisce niente, questo nome? Ah, già. Non era ancora, Kareem Abdul Jabbar. Con lui in quella squadra avversaria il grandissimo Big O, Oscar Robertson, il primo giocatore che, nel 1962, 9 anni prima, aveva concluso la stagione con una tripla doppia di media per punti segnati, assist serviti e rimbalzi presi. Dopo Robertson l’unico a riuscirci sarebbe stato, proprio quest’anno, un certo Russell Westbrook. In quella stagione i Milwaukee Bucks vincono il titolo in sole 4 partite nonostante il talento dei Baltimore Bullets. A Monroe resta come consolazione, la seconda convocazione all’All Star Game.

Ma il successo Monroe se lo era guadagnato, con grande senso del sacrificio, e, siamo nel novembre 1971, c’è un clamoroso scambio, per quell’epoca. Viene messa da parte la grande rivalità New York-Baltimore, con la grande mela che dà ai Bullets Mike Riordan e Dave Stallworth, e soldi, in cambio di Earl “The Pearl”. Arriva a Nuova York come un grande giocatore, dalla fama di immarcabile, e trova il suo grande rivale, Walt Frazier. Come si può integrare – si chiede la stampa locale – un giocatore prezioso, sì, ma individualista, nel gioco costruito per la squadra da Coach Red Holzman? E come avrebbe convissuto con uno come Frazier? E invece, pur giunto nella immensa città dell’Est con gran clamore, la dimostrazione di umiltà di uno dotato di tecnica qual è stato Monroe, è esemplare: difesa alla morte e circolazione di palla, con tanto di passaggi a quelli smarcati sotto al canestro. Lui segnò di meno, sfiorando i 12 punti a gara nel 1972, ma pur perdendo in finale dai Lakers, nel 1973 il titolo NBA è tutto dei New York Knick, che battono i popolarissimi cestisti della California negli ultimi atti, nelle finali.

New York, gli anni dopo, pur con gente come Reed, Jerry Lucas e altri, scivolerà in posizioni anonime perché dalla metà degli anni 70, avrebbero abbandonato l’attività agonistica giocatori di pallacanestro del livello assoluto di Walt Frazier e Bill Bradley, che nel 1966 aveva portato un grande contributo nella vittoria in Coppa Campioni della Simmenthal Milano. Bradley sarebbe in seguito divenuto Senatore degli Stati Uniti.

Sul piano singolo Monroe vivrà altre stagioni positive, con due convocazioni ulteriori nell’All Star Game del 75 e del 77 e si ritira a 36 anni nel 1980. In 13 anni da protagonista Earl Monroe smette le scarpe da Basket con cifre impressionati: 17.454 punti realizzati in 926 partite giocate con una incredibile media, per un playmaker, di 18,8 per partita disputata; 2796 rimbalzi e 3594 assist.

La squadra che gioca le sue gare casalinghe al Madison Square Garden, i New York Knicks, per tributargli eterna riconoscenza, ritira la numero 15 di Earl The Pearl Monroe nel 1986.

Nel film del regista Spike Lee, grande tifoso dei Knicks e da sempre innamorato della Pallacaenstro, nel film He Got Game del 1998, fa rivivere al pubblico una scena di grande intensità. Il personaggio principale, Jake Shuttlesworth, interpretato nella pellicola da un bravo Denzel Washington, spiega al figlio Jesus (che sarebbe stata la stella dell’NBA Ray Allen), che il suo nome ha preso ispirazione da come veniva definita Monroe, Black Jesus, il Gesù Nero.

Il vero Earl Monroe sarà iscritto nella Hall of Fame del Basket nel 1990, a pochi anni dal termine della sua parabola agonistica. Nel 1996 viene inserito tra i 50 migliori giocatori in occasione del cinquantenario dell’NBA.