Matrimonio Rom, la legale: “Condanna culturale”

“E’ stata una condanna culturale. Era una normale storia tra ragazzi che oggi sono sposati ed hanno dei figli”. E’ chiara la precisazione dell’avvocato Maria Grazia Sanna, intervenuta a Radio Cusano Campus durante la trasmissione “Legge o Giustizia”, legale in primo ed in secondo grado del ragazzo rom che in Cassazione è stato condannato per atti sessuali con minorenni nonostante la sua ragazza, della stessa etnia, fosse consenziente ed oggi sia sua moglie e madre dei suoi figli. Un’abitudine culturale, normale per i ragazzi e le loro famiglie, ma che agli occhi della giustizia italiana ha causato la condanna del ragazzo.

Matrimonio Rom: Avvocato ci può spiegare come si è articolata la vicenda?

La vicenda scaturisce da dichiarazioni spontanee rilasciate dalla ragazza, non immaginando gli effetti che queste dichiarazioni avrebbero avuto su quello che era il suo fidanzato, poi diventato marito e che a tutti gli effetti era già considerato marito, soprattutto per quella che è la loro cultura: un fidanzamento ufficiale è già quasi un matrimonio. Le dichiarazioni poi sono state utilizzate dal tribunale per i minorenni per segnalare che la stessa aveva riconosciuto di aver avuto rapporti sessuali con il fidanzato che lei descriveva continuamente però come suo marito. C’era stata anche un’interruzione spontaneo di gravidanza, certificata da dati clinici. In questa audizione con il tribunale però, che era finalizzata alla sola verifica dell’affido alla famiglia del fidanzato,  il tribunale ha rilevato che ci fosse un’ipotesi delittuosa: quella di atti sessuali con minori, tra l’altro in regime di convivenza.

I due ragazzi già convivevano dunque?

Nella nostra tesi difensiva, in primo e secondo grado, il punto centrale è che non c’era effettiva convivenza tra i due. La ragazza, pur abitando nello stesso campo con il ragazzo, viveva però con le donne del clan e dunque non direttamente con il fidanzato. L’elemento che mancava per considerare nella fattispecie il reato era il rapporto di convivenza effettiva con l’altro soggetto. La Cassazione non ha aderito al nostro ragionamento.

Pensa che la risonanza della vicenda sia dovuta ad un fatto culturale od all’etnia dei due ragazzi?

Questa sentenza ha avuto determinata risonanza sugli organi di stampa per il tema trattato e per il periodo storico che viviamo. Ma soprattutto perché gli organi preposti, sul tema culturale delle “spose bambine” hanno interesse ed il dovere a condannarle, a punirle e perseguirle. L’occhio della Corte di Cassazione si è andato a puntare su questa vicenda soprattutto per il rilievo culturale.

A cosa andrà incontro il ragazzo?

Il ragazzo dovrà scontare un anno di detenzione, che tenteremo di sostituire con pene alternative a cui lui ha diritto. Però trattandosi di reati a sfondo sessuale si procederà, come indicato dal legislatore, a tutta una serie di verifiche, una sorte di osservazione particolare. Ricordiamoci che parliamo di due persone che ad oggi sono ancora insieme, che si sono sposate ed hanno avuto dei figli e che dunque vivono una normale relazione matrimoniale. La loro cultura consente questa tipologia di matrimoni, penso che i problemi della comunità rom siano ben altri. Penso che la Cassazione abbia fatto un ragionamento circoscritto alla sola convivenza, non calcolando la natura culturale dei soggetti. Il consenso è irrilevante, si parla di atti sessuali violenti, dove la violenza non c’è stata. Questa convivenza non doveva essere intesa come un qualcosa che privava i ragazzi o la ragazza della propria libertà, ma come una normale storia tra ragazzi.