“Sistema Università”. Ciao, sono Massimo. Ero uno storico dell’Integrazione europea, ho 39 anni e ho deciso di smettere con l’Università. Se partecipassi a un gruppo di auto-aiuto, inizierei così. Ma è solo la mia storia. La racconto, sì, anche a scopo terapeutico. Per me stesso, o forse non solo. Ho iniziato a studiare Storia dell’integrazione europea all’università, e fu un colpo di fulmine. Dopo il dottorato ho iniziato a farmi le ossa: un periodo all’estero, un assegno di ricerca, i contratti. Da allora ho scritto due monografie e più di 25 saggi e articoli in italiano e inglese; ho partecipato a seminari e convegni portando in giro per il mondo il nome dell’università per cui lavoravo. Ma non è di questo che voglio parlare. In questi giorni ho trovato la forza di portare a termine un percorso travagliato in cui mi dibattevo da anni. Ho sempre rinviato, nella speranza che qualcosa cambiasse. Ma la svolta non c’è stata, e la scelta si è fatta improrogabile: restare o andar via?
Questo è l’incipit di una lettera, divenuta successivamente virale sul web, scritta da Massimo Piermattei, ricercatore quasi 40enne che alla fine dello stralcio che vi abbiamo proposto si pone un quesito al quale per anni ha provato a dare risposta. Restare o andare via? Per chi non sapesse come continua la lettera, Massimo ha deciso di mollare, gli studi, la ricerca, l’università, in una sola parola il sogno, coltivato per anni, di vivere del frutto dei suoi studi, delle sue ricerche e del suo insegnamento. Alla luce dei fatti degli ultimi giorni, che vedono l’università italiana impantanata in un sistema clientelare, familistico e manipolabile, Radio Cusano Campus è tornata a contattare Massimo Piermattei, per chiedergli se il sistema di cui lui stesso parlava nella sua lettera (““La mia generazione prigioniera di un sistema, ma il tempo è scaduto”) è lo stesso che emerge in questi giorni dalle intercettazioni raccolte e consegnate agli inquirenti dal ricercatore italo-inglese Philippe Laroma Jezzi.
Massimo, il sistema di cui accennavi nella tua lettera è lo stesso che emerge in questi giorni dalle intercettazioni agli atti della magistratura?
“Il sistema di cui parlo è sostanzialmente questo, non pensavo sinceramente potesse essere così strutturato come sembra leggendo i giornali. Non ho seguito la vicenda con particolare attenzione ma chiunque abbia cullato il sogno di lavorare in ambito universitario non può dire di non conoscere le regole del gioco”.
In quale momento della carriera universitaria ci si trova a confrontarsi con quelle che tu chiami le regole del gioco?
“Io la percezione del meccanismo entro il quale mi trovavo a muovermi l’ho avuta sin da subito. Quello che si genera successivamente è una sorta di dipendenza dal sistema, si spera sempre di pubblicare l’articolo giusto, di muovere i canali giusti o di dare una svolta decisiva da un momento all’altro. Dopo tanti anni il mio tempo è scaduto e ho detto basta”.
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