“Cosa indossavi?”, è una domanda che viene fatta molto spesso alle donne vittime di violenza sessuale. Questo nasce dall’idea di molti che la coppia: stubro e abbigliamento sia imprescendibile; alludendo al fatto che se la donna avesse indossato un vesito meno scollato o non provocante, probebilmente non sarebbe stata vittima di aggressione.

“Cosa indossavi?”: 18 storie di violenza sessuale attraverso i vestiti

Universalmente la violenza è considerata sbagliata, ma troppo spesso vengono isinuate domande come: “Dove stavi?”, “Come ti comportavivi?”, Cosa indossavi?”. Non esistono scuse o giustificazioni ad un quasisai atto di violenza, perché ogni donna è libera di comportarsi come vuole ed indossare ciò che preferisce dal pantalone lungo alla minigonna.

A sconfiggere questi pregiudizi è una mostra esposta in una sala dell’ Università del Kansas che si intitola What Were You Wearing?” (“Cosa indossavi?”) e racconta 18 storie di donne vittime di violenza sessuale attraverso i vestiti indossati al momento dell’aggressione.

E’un progetto nato nel 2013 grazie a Jen Brockman (direttore del Centro per la prevenzione e formazione sessuale della ‘University of Kansas’) e a Mary A. Wyandt-Hiebert (sovrintendente per le iniziative di programmazione presso il centro di educazione contro gli stupri della ‘University of Arkansas’). La mostra si sta spostando di università in uniersità nei vari Stati americani per diffondere un messaggio importante ed essere vicino alle vittime.

Un bikini, un paio di jeans con una maglietta o una camicia, un abito rosso e un vestitino rosa da bambina. Sono alcuni dei vestiti delle protagoniste che indossavano al momento dello stupro. Vestiti che ognuna di noi indossa quando esce.

Sono 40 le storie di violenza, ma solo 18 sono riportate nella sala dell’ Università del Kansas. Ogni abito è stato donato dagli studenti universitari che hanno cercato di riprodurre l’outfit delle donne protagoniste della mostra. L’obiettivo è quello di liberare le donne dal senso di colpa legata al fatto che in qualche modo avrebbero potuto evitare la violenza e allop stesso tempo sensibilizzare le persone, invitandole ad essere più comprensive e solidali

“Non è l’abbigliamento che provoca una violenza sessuale, è la persona che fa del male. Essere in grado di trovare pace per i superstiti e creare un momento di consapevolezza per la comunità è il vero obiettivo del progetto”.

Jen Brockman