Parolacce, locuzioni creative, e turpiloqui: il ‘Dizionario degli insulti’ piace a giovani e adulti. Il glossario dell’avvocato Giuseppe D’Alessandro (A&B editore) incuriosisce per due ragioni: contiene locuzioni improbabili, oggetto di giudizio, e racconta com’è cambiato il linguaggio nel tempo. Oggi, ad esempio, “il termine usato più frequentemente per offendere è puttana; mentre il corrispondente maschile gigolò non è stato trovato nel dizionario. Non ha una valenza offensiva”, ha affermato D’Alessandro a #genitorisidiventa su Radio Cusano Campus. Si può finire male, dunque, per aver insultato o offeso l’onore di una persona, di un collega, o un amico. Esistono molte sentenze che dimostrano che la legge tutela le vittime di ingiurie, c’è chi è stato multato o a chi è stato dato il carcere. Tutto dipende dalla popolarità della persona che si sta offendendo, e dal mezzo usato per farlo. Stando così le cose, non c’è da stupirsi se anche i figli fanno lo stesso.
“Il dizionario dura più di un secolo, è uno studio di costume, nasce casualmente, facevo una ricerca giurisprudenziale e trovavo che ‘vallo a dire a tua sorella’ costituiva reato secondo il Tribunale di Bologna. A distanza di qualche ora mi sono imbattuto in una seconda sentenza che diceva che secondo il Tribunale di Chieti ‘vallo a dire a tua madre e a tua sorella’ non costituiva reato. Questo mi ha fatto riflettere. Noi avvocati che facciamo penale abbiamo tempo libero per leggere e scrivere tra una causa e un’altra nel corso dei vari processi, così ho cercato di mettere in fila parola di ordine alfabetico che sono state oggetto di giudizio da parte dei giudici”, ha sottolineato l’avvocato Giuseppe D’Alessandro durante l’intervista evidenziando che attraverso una semplice “aggiunta o sottrazione di qualcosa la frase da ingiuriosa non diventa tale. Le disgrazie che vengono augurate non dipendono da noi non costituiscono reato, a parte qualche eccezione. Se dico ‘ti faccio venire un infarto’ cambia tutto, e diventa una minaccia.” L’introduzione al dizionario è a cura di Vito Tartamella, caporedattore di Focus e studioso di parolacce (parolacce.org), il quale, parlando ai genitori, ha consigliato di “portare i bambini a riflettere sul peso delle parole. Ci sono termini che vengono detti per gioco, per sfogo, per far ridere. Oggi abbiamo perso il senso delle parole. Ci sono valori che stanno perdendo peso, e anche le parole risultano svuotate di senso. Dal ’68 il linguaggio ha cominciato a diventare più informale, anche in tv, o sui giornali, si usano termini che in passato sarebbe stato impensabile usare.”
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