L’avvocato Pietro Fornaciari è intervenuto ai microfoni di “Legge o Giustizia” su Radio Cusano Campus per parlare della vicenda di un suo assistito sordomuto di Regio Emilia, vessato da colleghi sul luogo di lavoro.

Ecco cos’è successo

“Il mio assistito – spiega  Pietro Fornaciari – aveva trovato lavoro grazie al collocamento obbligatorio. Questa persona si era sempre sentita esclusa dal mondo del lavoro. Ad un certo punto, grazie alla sua capacità di leggere labiale, dall’altra grazie alla confessione di un collega, ha scoperto che la maggior parte dei suoi colleghi, due in particolare, avevano con un comportamento vile e si divertivano nel dileggiarlo. Lo prendevano in giro per la sua condizione di portatore di handicap, ridendo di lui. La cosa spaventosa è che anche gli altri ridevano. Sapevano che sapeva leggere labiale e quindi si guardavano bene dal farsi vedere. Quando gli è stata rivelata la realtà, ha acceso il registratore del telefonino ed ha registrato tutto. Ha fatto poi sentire l’audio alla figlia. Quando ha saputo della gravità della situazione è piombato in una situazione di depressione, non riusciva più ad andare a lavorare”.

È scattata quindi la querela

“La magistratura si è attivata in modo rigoroso. L’accusa non è la semplice ingiuria perché le offese erano reiterate ed hanno instaurato un grave stato d’ansia certificato. Sono stati contestati ai colleghi di lavoro atti persecutori, il cosiddetto stalking, con l’aggravante prevista per chi commette il reato ai danni di un portatore d’handicap. L’iter giudiziario è stato problematico e travagliato ma abbiamo fatto finalmente l’udienza preliminare e ad ottobre comincerà il processo” spiega Pietro Fornaciari.

Gli accusati l’hanno definito un atto di goliardia

“E’ questa la loro tesi difensiva: “Questo è il canto del cigno di questi persecutori. Non è scritto da nessuno parte che la goliardia sia un fenomeno positivo. Necessita poi di un’accettazione consapevole di chi partecipa al gioco. Un esempio di questi “goliardi”, chiamavano “l’africana” una ragazza meridionale e lei reagiva con offese congrue. Al mio assistito dicevano “muto di m…”, “schifoso figlio di…”. Al processo temo che le spiegazioni saranno peggio delle offese. Il mio assistito ritiene che la sentenza di condanna sia l’unico risarcimento possibile, vuole avere il segnale che lo stato si occupa di lui. Tutte le volte che abbiamo parlato di soldi ha sempre detto: “si, fanno comodo ma l’interesse è che lo Stato dica che queste persone hanno sbagliato”. Il reato è grave e la pena edittale va da 6 mesi a 5 anni con l’aggravante che prevede aumento fino alla metà” conclude  Pietro Fornaciari.