Se il Dipartimento per le pari opportunità tutela le donne nel lavoro, e una donna su cinque perde, o lascia, il proprio impiego, qualcosa non funziona! Prendiamo ad esempio le mamme licenziate in tronco, dopo la nascita del primo figlio, e sostituite – magari – da una giovane aitante, e inesperta, come giustificare positivamente l’esistenza del Dipartimento? Ogni caso è a sé, e non è possibile generalizzare, ma i grandi numeri parlano chiaro, e la Costituzione (art. 3) pure: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” 

Lo stesso Gerardo Soricelli, docente di Diritto Amministrativo II, della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Niccolò Cusano, a #genitorisidiventa, su Radio Cusano Campus, in riferimento a quanto riportato nella carta costituzione, alle normative europee esistenti, e al Dipartimento per le pari opportunità, ha detto: “Il Codice delle pari opportunità del 2006 ci parla di una serie di tutele della donna in riferimento all’accesso del lavoro, o di licenziamento in caso di matrimonio della donna stessa. Una serie di tutele che possono essere attivate dagli organi preposti, e che possono essere messe in pratica da una serie di organi ufficiali competenti. C’è il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che si occupa del monitoraggio, e dell’attuazione del codice delle pari opportunità, e vigila sull’attuazione di queste normative; cercando di prevenire discriminazioni nelle strutture aziendalistiche.”

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