IL GRANDE TORINO: oggi sono passati ben 68 anni

Il 4 Maggio non è mai una data “normale”, per chi ha lunga memoria e per chi conosce la storia del calcio italiano e mondiale. E’ la ricorrenza più dolorosa, per la città di Torino, per i tifosi granata, per il Grande Torino. Che venne cancellato da uno sfortunatissimo incidente dell’aeromobile impegnato in fase di atterraggio, provenienza Lisbona, con condizioni meteo proibitive, tra pioggia, vento e nuvole. La sorte girò le spalle a una squadra capace di incantare il pubblico italiano, in Europa e nel Mondo, dove giocava tournée anche fino alle terre brasiliane.

Dal 1940 al 1949 il Grande Torino è stato capace di superare la 2° Guerra Mondiale, e di ricominciare a giocare al Calcio, a segnare, a vincere. Cinque scudetti consecutivi, una Coppa Italia, e un modo di produrre il gioco sempre votato all’attacco, con un periodo specifico della partita che è passato alla storia della letteratura sportivo con la definizione di “Quarto d’ora granata”. Lì non ce n’era per nessuno, tra gli avversari, anche i più valorosi e qualitativi.

Il suo presidente, Ferruccio Novo, per un puro caso non partì per andare in terra portoghese a onorare la fine della carriera di uno dei miti del calcio lusitano, ________________: lui che era diventato prima giocatore, in età giovanissima, poi presidente a soli 42 anni, imprenditore di una fabbrica gestita con il fratello nel settore degli accessori di cuoio.

L’amichevole del 3 maggio 1949 fu organizzata per un semplice omaggio, non per la fine della carriera, del capitano del Benfica, Francisco Chico Ferreira, come confermerà al “Mundo Deportivo” il diretto interessato in un’intervista di quel periodo. Non partirà Vittorio Pozzo, Commissario Tecnico Campione del Mondo con l’Italia nel 1934 e nel 1938, per dei palesi disaccordi col presidente Novo; andò alla finale di Coppa d’Inghilterra, a Londra. E si salverà anche la storica voce delle radiocronache dell’EIAR, Nicolò Carosio, perché aveva la Cresima del figlio nella stessa data.

Una nazione intera, si strinse intorno a Torino e ai suoi Campioni. Uno shock incredibile, per la città capoluogo del Piemonte e per tutti quelli che, avversari, hanno ammirato le gesta sportive di un collettivo di grande costanza, coraggio, tenacia e bontà, tecnica e tattica. Giocava col “Sistema”, importato dalle terre inglesi, quella compagine stupenda, che ha saputo far parlare di sé la modernità contemporanea del periodo successivo al secondo conflitto mondiale, in tutte le latitudini dove il calcio fosse noto: dal Brasile all’Argentina, dagli Stati Uniti d’America all’Ungheria.

E’ stato il simbolo, forte, di un’Italia che avrebbe voluto completare nello Sport la resurrezione, oltreché sul piano civico, politico, sociale ed economico, che arriverà di lì a una quindicina d’anni col boom degli anni ’60.

Sono tante, ed emozionanti, le testimonianze dei parenti ancora in vita, dei ragazzi del Grande Torino, dei suoi dirigenti, e dei tre giornalisti, compreso il padre di Giorgio Tosatti, che perirono in quella catastrofe scesa dal cielo, ed abbattutasi sul basamento laterale, esterno, della Basilica di Superga.

E se vai a Torino e chiedi a un tassista di portarti su quella collina, accade anche che ti ci porti senza nulla volere. E’ successo.

Scrisse Indro Montanelli, sul Corriere della Sera, del 7 maggio di quell’anno: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è mai morto: è soltanto in trasferta”.

Questa la formazione tipo dell’ultima stagione: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamntoni, Castigliano, Menti, Loi, Gabetto, Mazzola, Ossola. Allenatore: Lievesley. Direttore Tecnico. Egri Erbstein. Se pensate che 10 undicesimi componevano la squadra nazionale d’Italia, cosa soltanto avvicinata dagli Azzurri di Enzo Bearzot – che sarebbe stato negli anni ’60 giocatore granata – ai Campionati del Mondo vinti nel 1982 a Madrid, allora avete la dimensione di quanto forte fosse quel gruppo di atleti. Intramontabili.