I testi degli otto decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri il 14 gennaio scorso, che andranno a dare corpo e sostanza a quella legge 107 meglio nota come Buona Scuola, hanno riaperto un dibattito mai veramente concluso, con un rigurgito di polemiche e dissenso manifestato dalla maggior parte degli attori protagonisti del mondo della scuola. Radio Cusano Campus ha interpellato la prof.ssa Rita Minello, titolare della cattedra di Storia sociale dell’educazione presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’UniCusano, per analizzare la valenza didattico-pedagogica di una riforma che da più parti è stata definita senza coraggio e lontana dall’obiettivo di innalzare il livello della qualità dell’istruzione italiana.
Una Buona Scuola bis tra luci ed ombre prof.ssa Minello, le novità principali riguardano più da vicino la vita professionale dei docenti o quella scolastica degli studenti?
“A mio avviso gli elementi di novità che possono essere rilevati riguardano maggiormente i docenti italiani. C’è da dire che oggi viviamo nel mondo della complessità e questo si riverbera, per forza di cose, nel mondo della cultura e ancor più direttamente nel mondo della scuola. In questa situazione, dove debbono incontrarsi le esigenze contrastanti di parti in causa lontane per interessi e obiettivi, non è più possibile parlare di riforma della scuola. Anche quest’ultima riforma non può essere definita tale, l’unica cosa seria che ci resta da fare è mettere in campo una serie di correttivi continui, connessi e utili a soddisfare le diverse esigenze e i cambiamenti che vengono a verificarsi nell’arco del tempo”.
Abbiamo seguito tutto l’iter della Buona Scuola, dalla sua stesura alla promulgazione, e abbiamo appreso essere una legge delega, sostanzialmente vuota, strutturabile in corso d’opera attraverso l’emanazione di decreti delegati. Si può affidare una riforma così importante ad una legge delega, di cui si conoscono inizialmente solo le linee guida?
“In questo caso posso esprimermi nella duplice veste di esperta di scienze della formazione e di cittadina. Ripercorrendo alcune fasi storiche, da Giolitti in poi, tutti quei periodi in cui si è governato per decreti sono stati sempre considerati momenti pericolosi per la democrazia del nostro paese. Senza parlare di orientamenti politici, chi ha governato in questo modo non ha mai ricevuto feedback positivi da parte dei cittadini e lo dice anche il premio Nobel italiano Sartori, chi adotta questo metodo mette in crisi le dinamiche democratiche del paese”.
Tra gli elementi positivi contenuti nella Buona Scuola bis, va sicuramente inserito il nuovo percorso formativo dei docenti, finalmente impegnati in un processo di apprendimento dei sistemi di insegnamento. È d’accordo?
“Nel nostro paese abbiamo vissuto stagioni importanti per quel che riguarda la formazione dei docenti. Ricordo, in tal senso, le Sis, organizzate a livello regionale e universitario. Queste esperienze sono state controverse e particolarmente dibattute, con risultati eccellenti a livello regionale, penso a come erano strutturate in Veneto, e meno valide in altre parti del paese. Anche per questo sono state sostituite da percorsi più brevi, agevolati, come i Pas e i Tfa, che hanno prodotto scarse competenze sia a livello pratico che teorico. Oggi si torna a presentare in modo molto più serio la formazione degli insegnanti anche se ancora non basta. L’aspetto fondamentale risiede nel fatto che ci sia coerenza metodologica tra le indicazioni generali che ci sono state date e i contenuti reali del percorso in oggetto che, lo ribadisco, sembra voler affrontare in maniera più responsabile il percorso di formazione degli insegnanti”.
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