Suona come un monito il titolo dell’ultimo lavoro con Amedeo Gagliardi, sulla PAS, invece è soltanto un cortometraggio. Certo il tema della sindrome da alienazione parentale la dice lunga sugli equilibri postumi alle separazioni, e sulle dinamiche che vengono a crearsi in famiglia, tra genitori e figli. “Mamma non vuole”, sarebbe lei la detentrice del potere a casa, pare dipenda tutto dal suo volere, e dalle sue persuasioni psicologiche sui figli. Il corto, girato a Bologna e uscito lo scorso 24 settembre, è diretto da Antonio Pisu, vede la partecipazione di Giancarlo Giannini e racconta una storia vera, ovvero quella di un uomo al quale non è permesso vedere il figlio da oltre una mezza dozzina d’anni. E’ intervenuto ai microfoni di #genitorisidiventa su Radio Cusano Campus il mentore della pellicola, il quale ha espresso come primo desiderio quello di voler far sapere quanto sia innamorato di suo figlio.
Tra gli altri obiettivi del lavoro c’è il desiderio di diffondere i disagi che il problema porta con sé, ha sottolineato Gagliardi durante l’intervento radiofonico: “Questo fenomeno è sottaciuto in maniera vergognosa in Italia, e coinvolge qualcosa come seicentomila genitori. E’ un problema planetario diffuso in tutto il mondo. Quella che viene definita PAS non viene accettata dal DSM, più che sindrome è una vera e propria patologia conclamata. Ci sono seicentomila padri alienati, una sorta di parricidio. A margine dei seicentomila padri alienati, i minori dovrebbero godere di entrambe le figure genitoriali e non possono. Parliamo più di un milione di soggetti coinvolti nel problema. Il cambiamento del ruolo della donna che si è emancipata nel mondo del lavoro, fuori dall’ambito familiare, ha favorito un cambiamento dell’uomo e della donna stessa. Credo che si sia raggiunto uno scompenso pendente ai danni del padre. La stragrande maggioranza del problema dell’alienazione riguarda l’uomo. Ci sono anche donne alienate, ma sono marginali rispetto ai padri. Ne viene fuori un padre debole e reticente, c’è una reticenza ha pubblicizzare il proprio disagio, il proprio dolore, la propria impotenza.”
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