Che l’alternanza scuola-lavoro sia sinonimo di inutilità e spreco di tempo è stato più volte discusso, ma in alcuni casi, queste esperienze si sono rilevate vere e proprie cause di sfruttamento per giovani studenti.
“L’alternanza scuola lavoro è un’esperienza educativa, coprogettata dalla scuola con altri soggetti e istituzioni, finalizzata ad offrire agli studenti occasioni formative di alto e qualificato profilo.”
Recita così una nota del MIUR definendo cosa dovrebbe essere l’esperienza scuola-lavoro.
Ma dopo la recente inchiesta del giornale l’ Espresso sono emersi tutti i limiti di quanto imposto dalla “Buona Scuola”, voluta da Renzi e confermata anche dal Governo Gentiloni, e l’alternanza scuola-lavoro torna a far parlare di sé, dopo che il Fatto quotidiano gli ha dedicato la prima pagina.
Ciò che emerge sono le storie assurde e paradossali di alcuni studenti costretti addirittura a pulire i bagni e i tavoli dei ristoranti, o a fare volantinaggio per 12 ore. Insomma la condizione degli studenti non sembra affatto migliorare o avvicinarsi a quel progetto che secondo la carta dovrebbe trattarsi di “un’esperienza formativa innovativa per unire sapere e saper fare”.
A lanciare l’allarme è l’Unione degli Studenti della Puglia attraverso la campagna “A scuola io non faccio l’operaio”, facendo emergere l’ uso distorto del percorso formativo.
A raccontare la sua esperienza è Nadia, iscritta al quarto anno di un liceo alberghiero di Bari e mandata ad una fiera per promuovere matrimoni : “Lì facevo solo volantinaggio e davo indicazioni al pubblico che mi chiedeva informazioni sulle toilette o su dove trovare uno stand. E spesso mi è capitato di fare dieci, dodici ore continuative con una pausa di quindici minuti al massimo“, ha raccontato sulle pagine del Fatto Nadia, : «Per il resto delle ore ho pulito tavoli e bagni. L’alternanza dovrebbe essere un’opportunità e un percorso di crescita professionale ma le aziende ci usano come manovalanza gratuita”.
Leonardo iscritto, invece, al quarto anno del liceo scientifico Cafiero a Barletta, racconta di aver “catalogato locandine di film degli anni Ottanta che erano conservate negli armadi da anni. Per cinque giorni abbiamo fatto questa attività. Nella nostra scuola non c’è alcun corso di cinematografia ma siamo finiti lì. Anche i miei compagni non hanno fatto nulla che si avvicinasse alle materie del nostro corso di studi: alcuni studenti sono finiti a catalogare libri in biblioteca. Di questi lavori dovrebbero occuparsi i dipendenti delle aziende non gli studenti”.
Talvolta, addirittura, i ragazzi si lamentano di non ricevere sostegno dai professori che, in presenza di queste situazioni di sfruttamento, rispondono: “tutto serve alla vita!“
Insomma sembra proprio che l’alternanza scuola-lavoro più che un’esperienza per giovani studenti sia un’opportunità di ottenere lavoro gratis per le aziende. Ma come si può porre rimedio a questa situazione?
Intanto al ministero assicurano di essere al lavoro per cambiare la situazione: «Abbiamo firmato cinquanta protocolli nazionali con Unioncamere – spiegano – dove al registro nazionale in cinque mesi si sono iscritte duemila aziende che hanno garantito sessantamila posti di alternanza. Oggi c’è un comitato nazionale al lavoro dove siedono tutte le associazioni sindacali e gli enti locali che sono delle antenne sul territorio. Stiamo facendo nascere una cabina di regia con il ministero del Lavoro per aiutare le scuole ad individuare le imprese ma non solo. Stiamo elaborando una carta dei diritti e doveri dello studente in alternanza. Resta il problema che in Italia non esiste la figura dello studente lavoratore e in alcune realtà viene equiparato solo a quest’ultimo con tutte le conseguenze del caso: certificati medici, formazione sulla sicurezza e altro ancora».