La XXVIII edizione dei Giochi Nazionali invernali Special Olympics è volta al termine con grande successo. L’alta Valtellina (segnatamente i comuni di Bormio, Valdisotto e Valdidentro) ha accolto per la seconda volta consecutiva e con grande piacere una valanga di atleti Special Olympics, 485 per la precisione, atleti con e senza disabilità intellettiva pronti a dare il meglio e a farlo insieme.
E per quanto riguarda lo sport invernale, ce n’è stato da ammirare per tutti i gusti: dalle racchette da neve, allo sci di fondo, dallo sci alpino allo snowboard con il Floor Ball come “Prova lo sport”.
Il grande successo dell’intero evento si è percepito già dal principio, quando, in occasione della Cerimonia d’apertura, la piazza del Kuerc a Bormio si è riempita al massimo per assistere all’accensione del tripode che, in perfetto stile olimpico, ha inaugurato l’inizio ufficiale delle gare. Tra il pubblico tantissimi giovani e giovanissimi provenienti dalle scuole di Livigno, Sondalo e Bormio. Questi 1500 bambini si sono poi riversati nei giorni a seguire a bordo pista muniti di cartelloni e striscioni, di campanacci e trombette pronti a tifare forte per quelli che ai loro occhi, e non solo, sono diventati dei grandi eroi. Il fiore all’occhiello di questo evento infatti è stato senza dubbio il sentito coinvolgimento delle scuole del territorio, frutto di un prezioso “gemellaggio”, un percorso curato nel tempo che ha affiancato ad ogni team di atleti in gara dei veri compagni di avventura, le classi delle scuole presenti sul territorio. Gli alunni hanno avuto così l’opportunità e il tempo giusto per conoscere le storie degli atleti, disegnare cartelloni in loro onore e prepararsi al grande giorno come quando si deve incontrare il proprio idolo e, allo stesso tempo, un nuovo amico che ci sembra già di conoscere molto bene.
Scrive Chiara Gallo in rappresentanza del Team Verdeaqua Smile dell’Aquila:
Al sorgere del sole finalmente riusciamo a scorgere le bellezze del paesaggio, solamente immaginate ieri sera: arrivo in notturna dopo 12 ore di viaggio sotto la pioggia. Tanta stanchezza quanta emozione. Notte di riposo e risveglio “da atleti”. Si parte presto perché il programma della giornata prevede un intenso allenamento, in previsione delle gare, sulle immacolate piste di Isolaccia. Moltissimo impegno da parte di tutti. E altrettante “prime volte”. C’è chi fa il proprio “battesimo” sugli sci e chi, in pieno spirito Special Olympics, scopre la propria fragilità nelle cadute e la propria forza nel rialzarsi per ripartire più forte di prima. Ognuno supera il proprio limite di qualche metro, di qualche secondo: è l’entusiasmo necessario ad affrontare le gare con la piena consapevolezza del proprio valore. O del proprio volare, dipende dai punti di vista. Le facce paonazze ma felici, alla fine dell’allenamento, fanno subito capire che si è fatto un buon lavoro.
E ce ne dà conferma Christian, in pullman. “Mi viene da piangere“. “Perché vuoi piangere Christian?“. “Perché sono felice e voglio vincere la medaglia d’oro!“
A fine allenamento è ormai chiaro: si è pronti ad onorare, fin nel profondo, il giuramento dell’atleta Special Olympics: “Che io possa vincere, me se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze“.
In effetti, a guardarli bene in faccia, e a sentire il loro entusiasmo ed il reciproco incitamento, c’è la sensazione che non basti “partecipare”: loro vogliono dare il meglio di sè e vogliono vincere!
E, medaglie a parte, è chiaro a tutti che ciascuno di loro, ciascuno di noi, stando qui ha già vinto. Ciascuno la propria personale gara, lotta o battaglia contro l’una o l’altra fragilità che appartiene a tutti, nessuno escluso.
IL POSTO DEL CUORE
Finito l’allenamento, c’è un altro appuntamento importante che ci aspetta: l’incontro con i nostri primi fan, i ragazzi della scuola primaria e secondaria di Valdidentro. Arriviamo davanti ad un’imponente ed accogliente struttura: una baita di montagna con una biblioteca all’ingresso e tanti coloratissimi disegni e lavoretti che ci fanno subito sentire a casa. Ma non quanto l’ incontro che sta per realizzarsi. Nell’aula di musica ci attende una sorpresa meravigliosa: i ragazzi, con la loro professoressa, ci fanno sentire, suonato e cantato, l’inno che hanno composto in onore delle gare nazionali Special Olympics. L’emozione si scioglie nell’applauso scrosciante che chiude la loro straordinaria esibizione. È un reciproco scambio di doni, ma il più grande di tutti è il sentirsi parte di un’unica squadra. Lo si capisce dai sorrisi, dagli abbracci, dal gasarsi gli uni con gli altri in attesa dalle gare. Lo si capisce quando, durante l’inno d’Italia, Pietro si alza in piedi per cantare a squarcia gola con la mano sul cuore… ma non sa dove si trovi il cuore! Lo cerca sotto al giubbotto, in qualche parte indistinta tra pancia e pantaloni. E in quel preciso istante prende in prestito il sapere di un ragazzino che, con delicatezza e semplicità, gli prende la mano e la accompagna sull’organo sperduto. Ora Pietro sa dove si trova il cuore. E quel bimbo, forse, sa a cosa serve.
LA RIFLESSIONE
Quello che doveva essere un incontro tra diversità scontate, ovvie, (“sani e malati”, “fortunati e sfigati”), si rivela molto altro. Le “categorie” e le distanze cominciano a mutare ad un ritmo tanto rapido che alla fine sembrano quasi dissolversi, mischiandosi di volta in volta per creare nuove appartenenze. Entrando in quell’ambiente così silenzioso ed ordinato, sembra che la differenza più netta sia tra “le scuole del Nord e le scuole del Sud”. Poi, dentro la classe, ci si divide “per colori”: il grembiulino nero dei bambini e le giacche rosse degli atleti Special Olympics. Al momento delle presentazioni, la fa da padrone il carattere e la personalità: i timidi e i disinvolti, gli inibiti e gli sfacciati. Quando si canta tutti assieme, il criterio dividente dipende dalle corde vocali: gli intonati e le campane, quelli che cantano a voce bassa e quelli che urlano, che nemmeno allo stadio. C’è solo una cosa che accomuna tutti, e che tiene dentro sia gli ospiti che i padroni di casa: tutti amano lo sport e lo praticano con passione.
Lanci un rapido sguardo agli atleti e a chi scenderà in pista per fare il tifo durante le gare, ed è allora che ti rendi conto che, forse, la vera grande distanza tra abili e disabili non la fanno le condizioni genetiche ma quelle dell’anima. Perché l’unica disabilità è la mancanza di passione, entusiasmo, gioia di vivere. Il vero grande handicap è l’incapacità di essere felici. Punto.