Sono passati 70 anni da quando l’Italia il 10 febbraio 1947 firmò a Parigi un severo Trattato di pace che strappò al Belpaese gran parte delle conquiste al confine orientale; conquiste che erano arrivate al termine di una Prima Guerra Mondiale e che per le terre irredente ed i reduci del fronte avevano rappresentato il coronamento del Risorgimento. Se ne è parlato a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus in occasione del “Giorno del Ricordo”. E’ intervenuto, tra gli altri, Renzo Codarin, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, il quale ha esordito ai nostri microfoni dicendo: “Non è mai facile parlarne e ogni anno in occasione di questa giornata si riaprono vecchie ferite visto che tornano alla memoria tanti lutti e tante violenze subite dalla comunità italiana a Trieste, Gorizia, Fiume ed in Istria e Dalmazia a causa delle due ondate di uccisioni nelle foibe e delle deportazioni compiute dalle truppe di Tito. Tutto questo si verificò tra il settembre-ottobre del 1943 e il maggio-giugno del 1945”.
Codarin ci spieghi meglio cosa accadde in quella fase storica nella sua terra.
“Furono vari periodi in cui 350.000 istriani, fiumani e dalmati lasciarono le regioni in cui erano radicati da secoli: dall’abbandono di Zara devastata dai bombardamenti angloamericani (1943- ’44) agli ultimi esuli, dalla Zona B del mai costituito Territorio Libero di Trieste (dopo il 1954), passando per l’abbandono in massa di Fiume e di Pola (tra il 1945 ed il 1947). Senza dimenticare gli oltre 100 morti e le decine di feriti di Vergarolla, nell’attentato del 18 agosto 1946 perpetrato da esperti in esplosivi provenienti dall’OZNA, la polizia segreta di Tito che già era stata protagonista delle altre stragi che provocarono complessivamente circa 10.000 vittime. E così, dopo tanta crudeltà patita nella terra in cui affondava le proprie radici, il 90% della comunità italiana, atterrita e abbandonata da chi vinse la guerra promettendo l’autodeterminazione dei popoli, intraprese il cammino dell’esodo affrontando nuove e grandi sofferenze. Voglio qui ricordare il treno della vergogna che non poté fermarsi alla stazione di Bologna, le terrificanti condizioni igienico-sanitarie che c’erano nei 109 centri raccolta profughi sparpagliati per l’Italia ed in cui un neonato poteva morire di freddo, i picchetti e le offese dei militanti comunisti fuori dai CRP, il silenzio calato su queste tragedie per non intaccare la figura di Tito, ambiguo interlocutore occidentale nelle logiche della Guerra Fredda, e l’ulteriore sacrificio di chi poi emigrò al di fuori dei patri confini verso un mondo ancora più ignoto”.
L’istituzione del “Giorno del Ricordo”, avvenuta il 30 marzo 2004, comunque ha consegnato le foibe, l’esodo e la complessa vicenda del confine orientale italiano al patrimonio della comunità nazionale.
“Questo è vero ma purtroppo a oggi gli esuli e i loro discendenti sono di nuovo soli. Certo, curiosità e interesse nei confronti di queste pagine di storia patria sono aumentati in tutta Italia, ma le istituzioni latitano. Lo Stato ad esempio è ancora assente nell’indennizzare i beni espropriati agli esuli e nazionalizzati dal regime di Tito, ma che sono serviti a sanare il debito di guerra nei confronti della Jugoslavia, andando così a violare le garanzie contenute nel Trattato di pace riguardo le proprietà di chi optava per la cittadinanza italiana. Lo Stato poi non riunisce più il tavolo di lavoro Esuli-Governo e si appiglia a cavilli burocratici per non versare i finanziamenti alle nostre associazioni che una legge prevede (ci sono anni di arretrati da saldare) affinché svolgano attività di testimonianza, ricerca storica e approfondimento della storia e della cultura italiana nell’Adriatico orientale. Inoltre, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nella ricorrenza simbolica dei 70 anni da quel tragico 10 febbraio, non ha partecipato alla commemorazione ufficiale di Roma ed alla cerimonia presso la foiba di Basovizza, luogo simbolo della tragedia giuliano-dalmata. Un gran brutto passo indietro rispetto a quanto fatto in passato da Ciampi e Napolitano”.
Però presidente Codarin, in questi giorni sono in tanti a non dimenticare e a ricordare quanto accaduto.
“Si e per questo voglio ringraziare le scuole, le associazioni ed i Comuni che in questi giorni in tutta Italia aprono le loro porte ai testimoni ed agli storici provenienti dall’associazionismo della diaspora adriatica, affinché si sappia ciò che accadde a guerra finita in province che erano italiane a tutti gli effetti. Un sentito grazie anche a voi di Radio Cusano Campus. Perseveriamo nella testimonianza, rinnoviamo il Ricordo e attendiamo giustizia”.