Con le parole è possibile guarire, o ferire. Certe offese sono pallottole feroci piantate nel cuore, sovente pronunciate per rabbia, altre per cattiveria. Ma è cosa da adulti. Gli adolescenti prendono esempio, dagli idoli, dai professori. Basti pensare all’uso di slang appresi da un testo rap, ad esempio! Quello che lascia sconcertati è l’esagerazione nell’usare certi torpiloqui: i cantanti con le canzoni, i politici – con le promesse da marinaio – agli elettori, di mezzo c’è sempre termine colorito. Ne abbiamo parlato con Marco Ventola, psicoterapeuta, intervenuto a #genitorisidiventa su Radio Cusano Campus.”Dire parolacce ha diversi significati a seconda dei contesti. C’è stata una rottura rispetto a certe regole, è diventata una norma trasgredire. Trasgredire sistematicamente vuol dire usare un certo gergo. Dico parolacce dentro certe relazioni, la parolaccia credo sia legata ad una connotazione particolare: si dicono parolacce per impotenza, per liberarmi, tagliare con l’altro. […] Il rapporto dell’adolescente con la parolaccia è provocatorio, è un modo per sfidare il mondo adulto. Il linguaggio organizza il modo in cui categorizziamo la realtà, il genitore può capire col figlio che valore ha la parolaccia. […] La dimensione della regola è finita. Finiti gli anni ’80 dove si mantenevano due grandi modelli ideologici, la regola è che non ci sono più regole, anche nella gestione del linguaggio. Stare nelle buone maniere è considerato da cretini. Un tempo era un segnale della propria cultura”, ha sottolineato Ventola durante l’intervista.
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