Dopo l’Inter, anche il Milan sta per diventare cinese. Un documento di 33 pagine pubblicato da Calcio&Finanza, svela che i 100 milioni della seconda caparra versata da Sino Europe Sports (SES) a Fininvest per l’acquisto del club rossonero, provengono da un fondo con sede nelle Isole Vergini. In particolare, il fondo Willy Shine International Holding Limited ha versato la cifra di 830 milioni di dollari di Hong Kong (cioè 100 milioni di euro) in data 14 dicembre 2016, al fondo Rossoneri Sport Investment (il veicolo di Sino Europe attraverso il quale realizzare l’operazione Milan), dopo un accordo preso il 13 dicembre (nella foto in alto: Berlusconi con uno dei nuovi proprietari del Milan).
Le tappe verso il famigerato closing. Proprio il 13 dicembre, i cinesi avevano annunciato di aver versato a Fininvest la seconda rata da 100 milioni (dopo i primi 100 di caparra) per ottenere lo slittamento del closing al fine di acquistare il 99,93% del Milan al 3 marzo 2017. Pertanto, a oggi, per arrivare alla chiusura dell’affare Sino Europe deve versare ancora 320 milioni, avendone sborsati già 200.
La precisazione. A proposito del documento pubblicato sul proprio sito, Calcio&Finanza precisa: “Si tratta di un contratto di pegno sull’intero capitale della società veicolo Rossoneri Champion (con sede ad Hong Kong), che la società controllante Rossoneri Sport Investment (anch’essa con sede nell’ex colonia britannica) ha concesso come garanzia alla società che ha effettivamente messo a disposizione le risorse utilizzate per pagare la seconda caparra. Questa società si chiama Willy Shine International Holdings Limited e non ha sede in Cina, ma a Tortola nelle Isole Vergini Britanniche, centro finanziario offshore noto per essere uno dei principali paradisi fiscali al mondo”.
Soldi che arrivano da un fondo offshore. Grazie al finanziamento erogato da Willy Shine International Holdings, SES ha così ottenuto le disponibilità liquide per onorare gli impegni presi con la holding della famiglia Berlusconi. Disponibilità liquide che dunque non arrivano dalla Cina, bensì dalle British Virgin Islands, e che pertanto non sono soggette ai vincoli del governo di Pechino sull’esportazione di capitali.