Un mio collega napoletano ha un adagio che porta con sé dai tempi degli zii e dei genitori, i quali lo hanno portato, per la prima volta, a Fuorigrotta… “dove sta il San Paolo”, monumento alla napoletanità calcistica. “Tra Dio, la Maronn(a) e la famiglia, ce sta ‘o pallone, in Italia”. Tanto per dare una chiara e ineffabile idea di quanto conti, il pagano Dio pallone, in un paese pieno di problematiche socio-economiche quale il “Vecchio Stivale” è. Però rende, il paragone.

Per quelli cresciuti a Pane e 90° Minuto con le conduzioni di Maurizio Barendson e Paolo Valenti, è un colpo al cuore, vedere, di notte, di sabato, quando la domenica avrei la radio dalle 10 del mattino, un’intera trasmissione con Luigi Necco, corrispondente RAI da Napoli ed Avellino, parlare della sua avventura di cronista di sport dal San Paolo e dal Partenio, e di nera, con tanto di avvertimento ricevuto nelle gambe con due pallottole delle quattro che furono sparate fuori dal ristorante di Mercigliano al collega partenopeo.

Di quello storico spazio, fatto di un linguaggio semplice, ricordo, con piacere e ammirazione, delle cattedrali straboccanti di gente capace di manifestare il proprio amore per i colori del cuore. Dal “Cibali” di Catania, oggi “Angelo Massimino”, intitolato a un presidente mai dimenticato, nella zona etnea come nel calcio italiano, al “Via del Mare”, tempio della passione salentina; dal “San Nicola” di Bari allo stadio di Messina, dal “Granillo” di Reggio Calabria all’impianto di Catanzaro, fino al “Pino Zaccheria” di Foggia. Queste sono piazze che hanno chi 70, chi 80, chi, addirittura, 100, dicasi 100 anni di storia. Vederle relegate in Lega Pro fa capire quanto sia trascorso, quel calcio dei Rozzi, massimo dirigente ascolano, degli Anconetani, presidente del Pisa, dei Sibilia, numero 1 irpino. Dimenticato no, trascorso, quasi remoto anche se ne parliamo al passato prossimo, perché parliamo di 35 anni fa e qualcosina in più.

Veniamo a oggi anzi a martedì 6 dicembre. L’ho detto, in diretta, su Radio Cusano Campus 89.1 FM (per Roma e Lazio) e www.radiocusanocampus.it (per tutto il mondo): “La vittoria dello Zaccheria per 3-2, rappresenta, per l’UniCusano Fondi, il momento più alto della squadra e della società dell’ateneo romano, persino (!) più della Coppa Italia di Serie D”. Già, vincere allo Zaccheria, con una super-prova di Paolo Baiocco, saracinesca assoluta, che sembrava la reincarnazione di Ricky Albertosi, portiere vice-campione del Mondo, nel 1970, a Città del Messico, e portierone del Milan della Stella, quello del decimo scudetto nel 1979, allenatore Nils Liedholm. Il numero 1 universitario è stato addirittura osannato dai tifosi del Foggia, al fischio finale, e lo sportivissimo pubblico rosso-nero pugliese ha accompagnato la formazione di Sandro Pochesci negli spogliatoi in un fiume di consensi e di attestati di stima. Uno spartiacque, perché un secondo dopo sono piovute bordate di fischi sui ragazzi di Stroppa, che, prima di vincere a Melfi nell’ultimo turno, e prima di perdere con l’UniCusano Fondi per 3-2, venivano da sette pareggi nelle precedenti 10 gare.

Vincere è un motto, un mantra, per chi crede nel migliorarsi giorno dopo giorno, come i dirigenti dell’Università Niccolò Cusano. Ma farlo allo Zaccheria è stato tutto, tranne che scontato. E per essere sincero fino in fondo, è stato possibile al 75-80% per le toppe che Baiocco ha messo a una difesa degna di Grease, la Febbre del Sabato Sera, anche se si giocava di martedì. Vero che mancassero Mucciante e Signorini, vero tutto, ma al Foggia dei primi 20 minuti sono stati concessi 7 calci d’angolo, i famosi calci di cantone, come li chiama un antico dirigente dell’Unione Sportiva Ladispoli, il marinaio in congedo Maresciallo Aldo Ferri, ligure ottantenne appassionatissimo e ascoltatore della nostra “uni-emittente”.

Vincere allo Zaccheria. Un’utopia diventata realtà. E adesso Catanzaro. Un’altra cattedrale, un’altra sfida, in uno dei templi del calcio degli anni ’70 e ’80. Laddove giocavano nelle retrovie il romanistissimo Roberto Vichi e il suo fraterno amico Claudio Ranieri, attuale allenatore del Leicester giunto agli ottavi di Coppa dei Campioni (mi perdonerete, se ancora la chiamo con l’antico araldo). Come dimenticare Massimo Palanca, il mancino che segnava dai corner? Ma questa è un’altra storia. L’UniCusano ha violato, due volte da maggio a ottobre, lo stadio “Erasmo Iacovone” di Taranto, a proposito di grandissimi impianti che hanno fatto la storia della serie cadetta e della Serie C, ha pareggiato riscuotendo la sicula ammirazione al “Massimino” per 1-1, rincorrendo lo svantaggio; ha rimontato due reti, pur con il dolcissimo bacio della Dea Bendata travestita da portiere di calcio, al Foggia, segnandone ben tre. Quasi dimenticavo: in precedenza è uscito indenne (0-0) da Matera, con i lucani che avrebbero espugnato il Salento per 3-0!

I santuari del calcio prossimi sono e saranno lo stadio della Reggina, alla prima di ritorno, e Lecce. Storie che i calciatori, i dirigenti, il tecnico, lo staff, potranno, tra qualche anno, raccontare a figlioletti e nipotini. Roba da brividi. Come il calcio che è stato, raccontato in maniera semplice, capace di farci emozionare. Per distacco, rispetto agli urlatori moderni (?).