Dolore e rabbia. Sconforto e rassegnazione. Indignazione. Vergogna. Duecentonovantaquattro vite spezzate in pochi minuti; non dal fato, ma dall’avidità, dalla sete di ricchezza e di potere, dal disprezzo per l’interesse generale e dall’ignoranza di valori elementari come giustizia sociale e solidarietà. Saviano ha scritto che il mattone trasuda profitto, è vero: ma due anni fa, il profitto, a L’Aquila, ha fatto scorrere sangue. Sangue e lacrime.
E a distanza di ventiquattro mesi, i nostri occhi devono rimanere aperti: madri morte nel disperato e purtroppo inutile tentativo di salvare i propri figli, non si possono ignorare.
E c’è da indignarsi, ancora oggi, perché ci hanno raccontato della furia del terremoto e non ci hanno spiegato che l’ Abruzzo, come una parte consistente del Paese, soprattutto nel centro-sud, è seduto su un letto di cemento impastato con sabbia di mare.
Sostenuto da uno scheletro di ferro che il sale di quella sabbia, con il tempo, ha logorato irreversibilmente, fino a renderlo sottile e fragile come uno stuzzicadenti. Nessuno ci ha detto che il sisma è stato molto meno intenso rispetto ai terremoti che si verificano quasi ogni anno in Giappone o in California: a San Francisco, ad esempio, il terremoto non uccide nessuno da vent’anni;
In Italia abbiamo pianto duecentonovantaquattro persone. Le sollecitazioni di grado e accelerazione pari a quelle rilevate a L’Aquila, non bastano per sbriciolare un buon cemento armato: e questa è una tesi che qualsiasi ingeniere potrebbe confermare. Possibile che nessuna legge dello Stato preveda dei test sul cemento utilizzato per la costruzione delle abitazioni, o addirittura degli edifici pubblici? E se una legge esiste, perchè, come spesso succede, non è stata rispettata?
Una volta edificato, uno stabile non è sottoposto a controlli periodici che ne stabiliscano, ancor più in una zona altamente sismica, l’agibilità? Lo Stato non dovrebbe essere responsabile della sicurezza dei Cittadini?
Suscita sgomento la noncuranza delle Istituzioni riguardo alle tragiche indicazioni fornite dalla Protezione Civile e annotate su un dossier consegnato alla Regione Abruzzo: nel documento erano elencati gran parte dei palazzi rasi al suolo; “casa dello studente” inclusa.
Dopo la tragedia tutti, a L’Aquila, si sono riempiti la bocca parlando di calcestruzzo armato, proponendo analisi geologiche, evidenziando nodi strutturali e altri tecnicismi; quando si trattava di vigilare, nessuno era tanto esperto e interessato come in quel periodo, e adesso, che le luci delle telecamere si sono spente, tutto sembra tornato più o meno come prima.
Dopo la tragedia sono arrivati a frotte, i politici, tutti pronti a esprimere la loro solidarietà, e a mostrare la loro commozione. Ma prima, nonostante le segnalazioni degli studenti, nessuno si è degnato di mandare un tecnico, un geometra o chicchessia per fare una perizia e testare la solidità dello stabile. Oltre quattrocento scosse in tre mesi e neanche un sopralluogo.
Da sempre, noi Italiani, diamo il meglio quando siamo in difficoltà: la nostra storia è piena di rinascimenti e risorgimenti; ebbene L’Aquila deve risorgere, e a distanza di due anni non l’hanno ancora fatta rinascere del tutto.
Il governo, nel momento di maggiore difficoltà, ha risposto in modo abbastanza tempestivo alle esigenze degli sfollati, ma questo non basta: garantire un tetto e due pasti al giorno ai terremotati, per un Paese civile, deve essere la normalità.
Io purtroppo non so’ come impedire ai costruttori di usare sabbia di mare per costruire palazzi; riconosco anche la difficoltà nel controllare ogni cantiere; ma immagino che se Saviano, da giornalista neanche troppo navigato, è riuscito a saperlo, le forze dell’ ordine avrebbero avuto senza dubbio la facoltà di vigilare in modo più approfondito.
E comunque, non riesco a non farmi una domanda, che, badate bene, parla di storia, più che di politica: se i monumenti costruiti nel periodo dell’Italia fascista sono rimasti tutti in piedi dopo il terremoto, vuol dire che negli ultimi cinquanta anni, invece di andare avanti, siamo tornati indietro? Se questa ipotesi fosse realtà, ci sarebbe, certamente, di che allarmarsi.