Morte Provenzano, il dibattito sul 41bis cui il boss corleonese è stato sottoposto fino alla morte e nonostante la malattia, è più vivace che mai. Giusto lasciare Bernardo Provenzano al 41 bis fino alla fine, nonostante la malattia? La morte di Bernardo Provenzano e la mancata revoca del 41 bis. Per dire la loro opinione su questo tema stamattina sono intervenuti su Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università degli studi Niccolò Cusano, l’ex magistrato Antonio Di Pietro e il senatore del Partito Democratico Giuseppe Lumia, già presidente della commissione antimafia.
La morte di Bernardo Provenzano e mancata revoca del 41 bis. Lo Stato dopo aver vinto la sua battaglia con la mafia corleonese ha scambiato la giustizia per vendetta? Questa l’opinione di Di Pietro: “Quello che penso io è quanto pensano molti magistrati, in uno Stato di diritto ha senso la detenzione se chi la deve subire si rende conto dello stato in cui si trova. Stiamo parlando di una persona, Bernardo Provenzano, che da un paio d’anni era incapace di intendere e di volere, di una persona che era entrata in coma e stava per morire. In quelle condizioni per me è stato un atto di debolezza, non un atto di coraggio, non revocare il 41bis”.
La morte di Bernardo Provenzano e la mancata revoca del 41 bis. Non convincono Di Pietro le motivazioni che sono state dietro alla revoca del 41 bis nei confronti di Bernardo Provenzano: “Le motivazioni che hanno portato a questa scelta non mi convincono: basta leggere testualmente l’articolo 41 bis. E’ un regime duro di carcere che si deve dare a delle persone per impedirgli di avere scambi di informazioni con altri affiliati. E’ stato previsto non a tutela dell’interessato ma a tutela della collettività. Invertire la ragione per cui viene tenuta al 41 bis una persona è una vera forzatura. Dire che Provenzano è stato tenuto dentro perché altrimenti qualcuno avrebbe potuto ammazzarlo equivale a fare confusione. Bisogna marcare la differenza tra giustizia e vendetta. La giustizia riconosce che bisogna restringere il più possibile spazi di autonomia e libertà a criminali. La vendetta è quel gesto in più che lo Stato fa per far pagare al criminale quel che ha fatto. La decisione di non concedere la possibilità di un carcere ordinario a Provenzano è stato più un gesto di debolezza che di coraggio”.
“Mi dispiace non essere in linea con la vulgata, ma ho fatto il magistrato, stiamo parlando di una persona che da tre anni non è in grado di intendere e volere, in coma, che aveva poche ore di vita. Senza 41 bis dove sarebbe andato? Avrebbe solo potuto avere vicino la moglie e il figlio”, conclude Antonio Di Pietro commentando la morte di Bernardo Provenzano la mancata revoca del 41 bis nei suoi confronti.
Di diverso avviso, sempre sul mantenimento del 41 bis nei confronti di Bernando Provenzano, il senatore GIuseppe Lumia, Pd, ex presidente della commissione antimafia, che su questa tematica è stato chiamato in causa da Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, nel corso del format ECG Regione, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio.
Sulla morte di Provenzano, Giuseppe Lumia ha dichiarato: “Lo Stato ha fatto bene a non revocare il 41 bis. Il diritto alla salute non si deve negare a nessuno, neanche a un carnefice come Provenzano, ma il diritto alla salute si deve tutelare in carcere e impedendo qualunque forma di comunicazione con l’esterno, perché qualunque comunicazione con l’esterno devasta la nostra società. La forza delle mafie è diversa dalle altre forme di criminalità. I mafiosi hanno costante interesse, quando sono in carcere, a comunicare con l’esterno, per non smettere di essere capi. Il 41 bis non lede nessun diritto umano, impedisce però che dentro le carceri le mafie creino una sorte di controllo del territorio e impedisce a ogni mafioso di comunicare con l’esterno”.
Provenzano nei confronti di Lumia aveva emesso una condanna a morte: “Questo è stato accertato da parte della procura, anche con delle sentenze. Provenzano ha mille volti, rimane anche il volto del Provenzano trattore, quello che sparava, uccideva e che non era da meno a Riina e Bagarella per ferocia sanguinaria. Quel Provenzano trattore si è reso più occulto negli anni, ma quando era necessario colpire allora bisogna non mettere da parte le armi e utilizzarle. E questo era il caso che riguardava me. Il Provenzano buono e il Provenzano pacifista voleva colpirmi, e nella sua indole vigliacca voleva scaricare le colpe di questo attentato verso altri capi mafia, per farmi fuori e ottenere allo stesso tempo la possibilità di scaricare la responsabilità su altri mafiosi”.
Proprio davanti a Lumia, Provenzano fu ad un passo dal diventare un collaboratore di giustizia: “Provenzano è stato un trattore, un ragioniere, un falso religioso. E’ mancato il Provenzano collaboratore. Magari lo Stato lo ha preferito più confidente. Ecco i segreti che si porta nella tomba. La sua capacità di poter instaurare rapporti con lo Stato altamente ambigui e collusivi. Ha giocato sul doppio fronte, si porta con sé notizie, fatti, verità inconfessabili che invece sarebbe stato utile dichiarare. Quando incontrai Provenzano e inaspettatamente fece quell’apertura eravamo faccia a faccia nel carcere di Parma, forse siamo stati a un passo dal Provenzano pentito, bisognava andare a vedere le carte, un Provenzano pentito avrebbe fatto saltare equilibri e consegnato al Paese un’occasione storica che è stata persa. Forse gliel’hanno impedito, ma la verità se la porta dietro Provenzano nella tomba…”