Luigi Di Bruno è un nome che ai più dice poco ma non importa. E’ la storia che spesso accade a chi scegliere di non correre nella musica, compiendo ogni passo quando è il caso di farlo. Insegnante di filosofia, arriva lo scorso giugno a pubblicare il suo album “Il tempo del viaggio”. Vediamo cosa c’è dietro a questo fabbro della musica italiana.

Gian Maria Testa e Giovanardi dimostrano che la musica non ha età. Cos’ha spinto un quarantenne a registrare un album?
La musica non ha età perché il bisogno di comunicare qualcosa di intimo può nascere in noi in qualsiasi momento della vita. A me è capitato dopo la morte di mio padre Bruno. Lui voleva che facessi della musica una professione perché fin da quando ero ragazzo mi dilettavo a comporre canzoni e mio padre intuiva un certo talento. Come capita spesso ai figli, non lo ho ascoltato ed ho preferito percorrere strade più ordinarie, come l’insegnamento e l’attività culturale. Poi però ho sentito il bisogno di provare a vestire gli abiti del cantautore, per mostrare quella parte di me che mio padre avrebbe voluto far conoscere. Da qui anche la scelta del mio nome d’arte, che è più che altro un omaggio: Luigi Di Bruno.

Quali sono i riferimenti musicali da cui ti muovi?
La grande tradizione della musica italiana, soprattutto quella dei cantautori. Nell’album c’è un pezzo che è proprio un omaggio alla musica italiana, fatto attraverso una storia ironica. Mi riferisco a “Odiavo il country”, ovvero la storia di un uomo che ama una donna appassionata di country. Pur di non perderla finge di esserne appassionato pure lui, ma poi si ritrova sempre ad ascoltare le melodie italiane che ama. Questo brano è una specie di stratagemma per dichiarare il mio amore ai grandi autori italiani: Battisti, Baglioni, Venditti, Zero, Modugno e altri.

Nelle tue canzoni si parla di Sicilia, mare e sale. Credi che la propria terra sia un valore da tutelare?
C’è stato un tempo in cui la parola “patria” ha assunto nella nostra cultura una valenza negativa, per colpa forse di un retaggio nazionalista che ha creato non pochi danni. Oggi grazie al cielo si può tornare a parlare di patria senza correre il rischio di essere etichettati politicamente e ideologicamente. La parola, nella sua etimologia, rimanda alla “terra dei padri” e, se si riflette sull’origine del mio disco, non è difficile notare come questo tema mi stia particolarmente a cuore.

Cosa sogna chi ha il mal d’Africa?
L’espressione mal d’Africa è stata coniata per indicare quella struggente malinconia che colpisce tutti coloro che hanno avuto la fortuna di vivere un periodo della vita nel continente nero. Non avevo mai capito cosa significasse in verità essere affetti dal mal d’Africa, fino a quando non ho avuto la fortuna di incontrare una persona eccezionale che, giunta ormai al crepuscolo della vita, mi ha raccontato per giorni e giorni la sua vita in Africa negli anni della seconda guerra mondiale. Mentre parlava ero letteralmente contagiato pure io dalla nostalgia dell’Africa, pur non essendoci mai stato. Un giorno mi sono messo al pianoforte e quasi per incanto è nata la canzone “mal d’Africa”, tutta di getto.

Che rapporti hai coi concerti? Ti trovi bene sul palco? Ne stai organizzando?
Ho una certa familiarità con il palco, anche se per motivi diversi dalla musica. Sono anni infatti che tengo conferenze filosofiche e teologiche in tutta Italia, alcune delle quali si possono vedere anche su YouTube, alla voce “Il viaggio dei filosofi”. Per quanto riguarda la musica, finora gli unici palchi che ho frequentato sono quelli da piano bar. Ora dovrò cimentarmi anche nei concerti per presentare questo mio primo album “Il tempo del viaggio”. Un’avventura che mi appassiona. Spero che saprò trasmettere questo entusiasmo anche a coloro che avranno la bontà di venirmi ad ascoltare.

Ecco il video dell’anteprima dell’album “IL TEMPO DEL VIAGGIO”: