Daniele Scalea, Direttore generale dell’Isag (Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie), è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Il mondo è piccolo”, condotta da Fabio Stefanelli su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano per parlare degli attentati di Bruxelles.
“Abbiamo chiuso gli occhi su quelle periferie dove l’Islam radicava il suo aspetto più violento -ha affermato Scalea in merito agli attacchi nella capitale belga-. In nome del multiculturalismo e della tolleranza verso l’altro, valori senza dubbio positivi, siamo arrivati a distorcere la realtà sotto ai nostri occhi. Di fronte all’emergere del terrorismo nel mondo islamico, si è teso a considerare inaccettabili i messaggi di quelli che denunciavano il problema, volendo credere che si trattasse solo di un piccolo manipolo di fanatici in terre lontane e che l’estremismo non potesse trovare terreno fertile in Europa”.
“Nei paesi islamici -ha aggiunto Scalea-, chi ha una visione radicale, oltre a non distinguersi troppo dal resto della società e a sentirsi per questo meno alienato, si impegna maggiormente in una chiave politica magari anche clandestina e violenta, però interna al Paese. Da noi invece il radicalizzato tende ad avere una prima fase in cui lascia il suo Paese e va a combattere laddove vede la terra del suo ideale, come Siria e Iraq, e poi vi fa ritorno per colpire che considera nemico. La presenza dell’Isis e dei suoi campi d’addestramento dà una dimensione di professionismo al tutto. Ma la base che permette però allo Stato Islamico di agire in Europa è il consenso che in termini assoluti è sufficiente a fare danni enormi. E questo consenso poggia ovviamente sul disagio sociale. Si tende a diventare più estremisti e più nichilisti quanto meno si ha da perdere”.
“Nel caso dell’Italia non abbiamo gli stessi fattori di rischio rispetto a Paesi come Francia e Gran Bretagna -ha spiegato Scalea-. Quello che sfugge è che non sempre i fiancheggiatori dei terroristi sono dei fanatici dell’Isis, anzi a volte sono persone che lo disprezzano e lo odiano. Ma in alcuni casi entra in gioco un legame familiare che c’è nelle società di origine che, a differenza della nostra società, è rimasto molto forte e nel momento dell’emigrazione è diventato ancora più solido, perchè è diventata più forte la necessità di appoggiarsi l’uno con l’altro. Poi c’è anche una dimensione di persone che, pur non essendo estremiste, si sentono più vicine all’Isis piuttosto che ai governi laici dei Paesi europei. Questo fa sì che pur sapendo che i terroristi stanno facendo qualcosa di sbagliato, non hanno la volontà di collaborare con le forze dell’ordine per fermarli”.
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