Cosa è successo davvero a Giulio Regeni forse sarà chiarito dall’inchiesta ufficiale che Italia e Egitto condurranno nelle prossime settimane. Un’indagine che dovrà tenere conto del contesto in cui è scomparso ed è morto il giovane ricercatore friulano. Sarebbero almeno 340, infatti, i casi di sparizione forzata tra ottobre e dicembre 2015 registrati dagli attivisti dell’ECFR, l’Egyptian Commission for Rights and Freedoms.

Un dato sottolineato ai microfoni di Radio Cusano Campus da Azzurra Meringolo, ricercatrice dell’area Mediterraneo e Medio Oriente dell’Istituto Affari Internazionali ed autrice del libro “I ragazzi di Piazza Tahrir”. “Il capitolo più tragico della storia di Giulio Regeni –ha affermato Meringolo- è iniziato come quello di decine di ragazzi egiziani scomparsi negli ultimi 2 anni. Da un giorno all’altro, senza lasciar tracce, questi ‘desaparecidos’ spariscono. Sappiamo che alcuni sono stati portati in carcere. Quando riemergono presentano segni di tortura sul corpo. Sono oppositori al regime. Noi giornalisti abbiamo una percezione molto complessa della nostra esposizione al pericolo. Sono tante le motivazioni che possono esporci al pericolo“.

Come ha affermato il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, la verità è ancora lontana. Verità forse da ricercare nel lavoro sui sindacati condotto da Giulio Regeni. Intanto però “Il Manifesto” ha confermato che negli ultimi tempi il 28enne era preoccupato. Una paura fondata, tanto da sospendere la collaborazione con il quotidiano. “Giulio Regeni non scriveva su giornali accreditati, non era un giornalista. Sicuramente non scriveva su quei giornali seguiti dalla stampa egiziana – spiega Azzurra Meringolo – E’ molto difficile capire quanto sei vulnerabile. Quello che è certo è che ci sono momenti in cui non ti senti più tranquillo di girare, di fare interviste, stai molto più attento a quello che scrivi e nasce dentro di te una sorta di autocensura o tutela personale. E’ comunque molto più facile dire le cose come stanno da Roma piuttosto che da Il Cairo“.

La pista del delitto politico si fa sempre più viva, anche in merito ai dati che abbiamo snocciolato in precedenza. Secondo Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International Italia, il nostro Paese ha tollerato fin troppo le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Al Sisi. “Il governo italiano –ha affermato Noury a Radio Cusano Campus- ha l’obbligo di pretendere la verità sul caso Regeni. E per verità non intendo una versione ufficiale, ma la verità. Quando i governi s’illudono di poter coltivare interessi economici a scapito di diritti umani, tutto va bene per loro finchè il morto non ce l’abbiamo noi. Se finora abbiamo tollerato che migliaia di egiziani facessero la stessa fine di Regeni, questa volta credo il governo debba fare due conti e capire se i diritti umani debbano essere sacrificati di fronte a interessi economici o se c’è una via di mezzo tra politica economica e politica etica”.

Il rischioha spiegato Noury è che si prenda per buona una versione ufficiale che sicuramente ammetterà la responsabilità di qualcuno che risponde all’apparato dello Stato egiziano, ma che si tenderà a circoscrivere utilizzando luoghi comuni come le ‘mele marce’ o le ‘pecore nere’, senza risalire fino alla catena di comando. La tortura è un fatto all’ordine del giorno in Egitto e non da oggi. Magari le stesse persone che torturavano sotto il governo di Mubarak, ora stanno torturando sotto il comando di Al Sisi, questo è il risultato dell’impunità. Oggi l’Egitto è un Paese simile al Messico, con i cadaveri trovati per strada con segni di torture, con l’impunità che supera il 90%, con casi di sparizione. Questo è l’Egitto di Al Sisi, cui l’Italia ha continuato a mandare armi. E’ la politica utile contro la politica etica”.