Petrolio, la strategia attendista dell’Arabia Saudita
Dopo la revoca delle sanzioni, l’Iran ha annunciato che circa mezzo milione di barili verrà immesso ogni giorno sui mercati. Secondo gli esperti, questo avrebbe portato ad un crollo del prezzo del petrolio, arrivato a toccare i 28 dollari al barile, il costo più basso dal 2003 a oggi. Il Dott. Lorenzo Colantoni, consulente di recerca dell’ Istituto Affari Internazionali, ha analizzato la situazione ai microfoni della trasmissione “Il mondo è piccolo”, condotta da Fabio Stefanelli su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
“Il fatto che l’Arabia Saudita ancora non abbia reagito, riducendo la sua offerta e di conseguenza facendo risalire il prezzo del petrolio ha un significato -ha spiegato Colantoni-. La strategia dell’Arabia Saudita in questo caso non sembra differente da quella che sta portando avanti nei confronti degli Stati Uniti. Da quando la shale gas revolution è diventata piuttosto una shale oil e gli Usa si sono avviati a diventare il primo produttore di petrolio al mondo, la strategia saudita è stata quella di mantenere la produzione alta, i prezzi bassi e attendere finchè il petrolio dei concorrenti i cui costi di estrazione sono più alti, come nel caso degli Usa, non diventasse più profittevole e la sua produzione crollasse, per mantenere la posizione di dominio saudita. Con l’Iran la situazione non sembra molto differente. Per l’Arabia Saudita l’Iran rappresenta un altro avversario per l’egemonia regionale, dato che è un produttore di petrolio e anche di gas. Il petrolio iraniano non è economico come quello saudita e per produrlo saranno necessari investimenti. Quindi ai sauditi conviene ancora tenere i prezzi bassi ed aspettare”.