Dopo la strage di Parigi si è diffusa la notizia che il commando jihadista abbia usato la PlayStation per scambiarsi messaggi in sicurezza.
Un’indiscrezione, frutto di fraintendimento, rettificata subito dopo dallo stesso giornalista che l’ aveva diffusa. Il servizio offerto da Sony, come affermato dal Ministro degli Affari Interni belga Jan Jambon, sarebbe estremamente difficile da intercettare e monitorare. La dichiarazione è stata riportata dalla testata International Business Times, che ha però omesso che le parole di Jambon erano state pronunciate tre giorni prima degli eventi di Parigi, nel corso di un incontro sui metodi di reclutamento online impiegati dall’ISIS. Non ci sarebbero dunque prove concrete che l’organizzazione degli attentati sia passata dai servizi videoludici della PS4. Sulla vicenda è intervenuta anche la Sony, con un breve comunicato: “PlayStation 4 consente la comunicazione tra amici e giocatori, attraverso tutti i moderni dispositivi connessi e il servizio è potenzialmente soggetto ad abusi. Ci assumiamo la responsabilità di proteggere i nostri utenti in modo serio e abbiamo bisogno che sia gli utenti che i partner segnalino attività offensive, sospette o illegali. Quando identifichiamo o riceviamo segnalazioni su una simile condotta, ci impegniamo ad attuare le dovute contromisure, in collaborazione con le autorità.”
Non ci sono prove dunque che i terroristi abbiano utilizzato la Playstation per comunicare ma lo scenario è del tutto plausibile. Lo stesso Ministro della Giustizia Andrea Orlando al termine di un vertice per la prevenzione e il contrasto del terrorismo in vista del Giubileo ha parlato della necessità di potenziare i sistemi di intercettazione guardando proprio ai nuovi strumenti di comunicazioni quali le chat o la playstation.
”Il fatto che questa notizia, nonostante la smentita, sia circolata con enorme rapidità sia attraverso la stampa che i social media, la dice lunga su come ci sia il sospetto che i videogiochi abbiano avuto un ruolo negli attacchi di Parigi. Secondo me, è la tradizionale demonizzazione dei videogiochi declinata da un nuovo punto di vista”.
Ad affermarlo Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania, intervenuto nei giorni scorsi nel corso del format “Giochi a Fumetti” su Radio Cusano Campus.
“Nei confronti dei videogiochi – ha spiegato ancora il professor Bennato – c’è ancora resistenza culturale. Il fatto che esistano delle mod di videogiochi di gran successo come GTA pensate in un ambiente jihadista per allenare alla guerra santa, è vero. Ma il fatto stesso che esistano queste mod è un aspetto della propaganda. Il fatto che qualcuno abbia modificato GTA per diffondere un messaggio di violenza non vuol dire tuttavia che tutti quelli che giocano ai videogiochi debbano essere d’accordo con questo messaggio.”
“Quando giochiamo – conclude il professor Bennato – stiamo interpretando un personaggio, ci facciamo affascinare da alcune regole, da un nuovo ruolo ma questo non vuol dire che quando usciamo ci comportiamo come nella finzione. I videogiochi sono giochi e come tali vanno presi in considerazione, nessuno dopo aver vinto a Monopoli si considera o si comporta come un milionario.”
Perché allora c’è questa resistenza culturale nei confronti dei videogiochi?
“Prima di tutto perché sono iperrealistici, sono troppo vicini alla realtà circostante e quindi la cultura mainstream non ha ancora gli strumenti concettuali peravvicinarsi ad uno strumento come il videogioco e quindi lo demonizza. Spesso però lo fa basandosi esclusivamente su stereotipi. Inoltre, non è solo una questione di videogiochi, Isis ormai usa tutti gli strumenti a sua disposizione, compresi i social media. Una forza in più ma anche un possibile punto debole. Bisogna stare attenti ad oscurare gli account sospetti perchè se è vero che diffondono messaggi di odio, possono allo stesso tempo aiutare l’intelligence a capire come si strutturano questi gruppi”.