Si celebra oggi, 29 Ottobre, l’ottava edizione della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale, l’iniziativa internazionale della World Stroke Organization promossa in Italia dalla Federazione A.L.I.Ce Italia Onlus. In Italia l’ictus rimane un enorme problema sanitario e sociale con quasi un milione di persone che ne portano quotidianamente le conseguenze, molte volte assai gravi. Ne ha parlato la Dottoressa Valeria Caso, Presidente Eletto della European Stroke Organization e neurologa presso la Stroke Unit dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, intervenuta ai microfoni di Radio Cusano Campus, la radio dell’Università Niccolò Cusano, in onda sugli 89.100 FM a Roma e nel Lazio, durante la diretta di Genetica Oggi.

Dott.ssa Caso, ogni anno nel nostro Paese vengono registrati circa 180.000 casi di ictus cerebrale, numeri importanti per una patologia che fa molta paura.

Assolutamente si, la cosa da dire è che la prima causa di disabilità nell’adulto. Fino al giorno prima sono persone capaci di fare tutto e subito dopo l’ictus si trovano impossibilitati a muoversi, a parlare o comunicare con i propri cari. E’ qualcosa di devastante, un problema grande e con una fascia di età fra i 45 e i 60 anni in aumento. Abbiamo paradossalmente un miglioramento nel grande anziano e sta “peggiorando” la fascia di età più produttiva per il paese.

Si può fare qualcosa in termini di prevenzione?

La prevenzione dipende da noi, lo vedo per esempio sui miei pazienti. L’80% di questi erano ipertesi e nel corso della loro vita non si sono mai misurati la pressione. Qualcuno riferisce di battiti irregolari ma non ha mai fatto un elettrocardiogramma, altri in sovrappeso non hanno mai fatto attività fisica. Sono questi tutti dati da valutare.

Ci sono dei segnali di allarme che precedono un ictus?

La difficoltà nel parlare, la perdita di forza riferita ad una parte del corpo così come la mancanza di equilibrio. In questi casi bisogna chiamare subito un ambulanza perché si può fare molto entro le sei ore. Se si superano le sei ore il paziente non riesce più a recuperare. Fondamentali le “Stroke Unit” (unità di terapia intensiva) che però non sono presenti in maniera omogenea in tutto il territorio. Ne abbiamo pochissime nel sud Italia per esempio rispetto al centro-nord. Speriamo che in futuro possano aumentare come da tempo stiamo chiedendo a gran voce.

L’Università Niccolò Cusano sta utilizzando lo sport, attraverso la squadra Unicusano Fondi Calcio, per informare le persone su temi legati alla salute e alla ricerca medica. Secondo lei è un’idea comunicativa vincente?

Intanto complimenti, la stroke unit è una “squadra” un po’ come quella di calcio. Fare squadra significa stare bene e supportarsi l’uno con l’altro. Inoltre fondamentale fare un’attività sportiva, se piace il calcio va benissimo come sport. Fare attività sportiva è essenziale per prevenire problemi di salute come l’ictus.

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