L’ho visto in un cinema del quartiere Prati di Roma. L’esatto opposto dal punto di vista urbanistico, sociale e antropologico di quella Ostia solitaria e nuda che il regista Claudio Caligari , ci mostra come squallido palcoscenico della disperazione di un proletariato dimenticato dal cinema e dalla letteratura. Caligari con questo film bellissimo e struggente ci ricorda che esiste un’umanità abbandonata che l’artista, attraverso il suo talento, ha il dovere di raccontare per restituirle un minimo di dignità.
Una vita difficile quella di Cesare e Vittorio, anzi difficilissima, ai limiti della sopportazione, che i due amici, fratelli, anestetizzano con le droghe che negli anni novanta, come i nubifragi romani, si trasformavano in fiumi sintetici, in cui si tuffava una generazione sopravvissuta alla tragicomica festa degli anni ottanta.
“No essere cattivo” è un film bellissimo. Non aggiungerò altro dal punto di vista prettamente cinematografico. Perché se la commozione mi ha accompagnato nella visione di quest’opera così vera e onesta, questo non è dipeso solo dalle scene che rappresentavano un dramma sociale che ancora oggi ignoriamo nascondendoci dietro alle televisioni, ma dalla comprensione che hanno “ucciso” un regista e le sue sceneggiature, consentendogli di fare solo tre film, prima di morire a causa di una malattia. L’ultimo riesce a girarlo grazie alla solidarietà di chi ancora ha la sensibilità di capire il senso vero dell’arte cinematografica.
Il movente è chiaro, lo racconta questa pellicola: Caligari era il più bravo e avrebbe vinto senza il doping dei soliti attori, del solito Favino, consacrando Luca Marinelli, polivalente e maestoso talento. Avrebbe vinto senza il doping del genere di moda, la stancante ripetizione dei romanzi criminali, recitati in romano e in napoletano, lui, Caligari, che il romanzo criminale della Roma deviata e deviante l’aveva inventato vent’anni prima con “L’Odore della notte”, lui, Caligari, che con questo film ci fa vedere come si fa “Trainspotting” senza le bollicine e i colori del pop. Caligari e il suo amore tossico per questa gente brutta, sporca, ma non cattiva che il cinema italiano disprezza, rifiuta e si vergogna di raccontare.
O meglio, fa finta di raccontare attraverso pellicole furbe, senza poesia, scritte come un’inchiesta giornalistica. Insomma la solita “Suburra” che ci riproporranno all’infinito, ora che Caligari non può ridimensionarne la loro presunta grandezza. Ma nessuno s’illuda. L’arte sopravvive all’artista.
ho visto ieri sera il film insieme a mia moglie a cui nn è piaciuto, per lei scontato…
nn la contraddico ma certo, nella scontatezza nn c’è banalità, forse un iperrealismo che però nn sfocia nelllo splatter, ove oggi sembra quasi necessario.
A me è piaciuto per l’essenza dell’amicizia nn mediata dalla famiglia ma che diventa la “vera famiglia”, ho vissuto quegli anni (sono del ’67), “sopravvissuto alla tragicomica festa degli anni ottanta” (vedi parte della generazione che ci governa) in un “contesto” diverso, per cui questa “storia” mi ha fatto capire che sè per me l’amiciza fosse stata questa, sarebbe, forse, anche tra noi fnita diversamente…
ringrazio Mastrandrea per lo sforzo compiuto.
cs
gus
ps unica delusione, foto degli attori a venezia..