“Ho concepito l’idea di questo film in un periodo in cui mi chiedevo quale poteva essere un modo nuovo per raccontare l’antisemitismo”. Il regista Alberto Caviglia racconta la genesi del suo film “Pecore in erba” ai microfoni di Radio Cusano Campus, spiegando che si può ridere e contemporaneamente raccontare il pregiudizio razziale. Esperimento riuscito in passato nella pellicola “Train de vie” dove un finale triste e commovente faceva da sorprendente epilogo a una commedia esilarante. Caviglia con il suo lungometraggio presentato al festival di Venezia ribalta la prospettiva consueta e rendendo un’antisemita un eroe in una società dove l’antisemitismo non è più visto come una cosa negativa, ma come una caratteristica innata dell’individuo.
Antisemiti si nasce, quindi, secondo la chiave comica e provocatoria di “Pecore in erba”, un finto documentario, che “vuole prendere in giro quel buonismo, che porta a far percepire come positive le cose più pericolose” spiega il regista ai microfoni dell’emittente dell’Università Niccolò Cusano, aggiungendo che ” il film serve a far riflettere su quanto siano distorte le cose che vengono presentate mediaticamente, compreso un fenomeno terribile come l’antisemitismo”. Ridere degli stereotipi peggiori del razzismo, ” far ridere lo spettatore di se stesso” precisa il regista “perché il male peggiore è proprio l’ipocrisia su questi temi”. Il film ha raccolto consensi bipartisan dal punto di vista politico ” e questo mi rende felice” chiosa l’autore di “Pecore in erba” nelle sale a fine settembre