Le epatiti rappresentano un vero e proprio gruppo di patologie con caratteristiche ben definite e riconosciute. Ne ha parlato il Prof. Massimo Andreoni, Presidente SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, intervenuto ai microfoni di Radio Cusano Campus, la radio dell’Università Niccolò Cusano che trasmette sugli 89.100 FM a Roma e nel Lazio.
Prof. Andreoni, parliamo di Epatiti, quante e quali sono quelle diagnosticabili?
Ce ne sono molte di Epatiti che indichiamo attraverso le lettere dell’alfabeto fino ad arrivare all’epatite G (partendo dalla A). Le più frequenti sono l’epatite A, la B e la C. Di queste le più gravi sono le ultime due, la B e la C, che possono portare a manifestazioni croniche che possono degenerare in forme di cirrosi, epatocarcinomi e morte. L’Epatite A è quella di tipo Alimentare che in Italia si trasmette tramite frutti di mare non cucinati o ben cotti; anche se esistono anche altre modalità per contrarla. E’ una epatite che al contrario delle altre non cronicizza e non da gravi problemi.
La trasmissione dell’epatite B e C invece come avviene?
Principalmente per scambio di emoderivati e anche, potenzialmente, per via sessuale, anche se dobbiamo dire che è molto raro contrarre l’epatite C con i rapporti sessuali, meno nel caso della B. La tossicodipendenza e, in passato le trasfusioni del sangue, sono e sono stati i principali veicoli dell’infezione. Il sangue però è oggi controllato attentamente e possiamo dire che non ci sono assolutamente problemi di sangue infetto trasfuso in pazienti che ne hanno bisogno. Le trasfusioni non sono più minimamente pericolose.
E’ pronto il piano nazionale contro l’Epatite B e C. Sarà possibile secondo lei arrivare a garantire a tutti percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali standard?
Questo è l’augurio. E’ un piano nazionale, sul quale anche la SIMIT ha lavorato per un paio di anni, che finalmente è venuto alla luce. Sappiamo che nel nostro paese c’è questa situazione un po’ paradossale dove ogni regione stabilisce le regole della Sanità e questo ovviamente non va bene. C’è bisogno di standardizzazione.
L’Università Niccolò Cusano sta utilizzando lo sport, attraverso la squadra Unicusano Fondi Calcio, per informare le persone su temi legati alla salute e alla ricerca medica. Secondo lei è un’idea vincente?
Direi sicuramente di si, lo sport è un qualcosa che appassiona tutti e in modo particolare i giovani. I giovani sono le persone con le quali bisogna fare più attenzione quando si parla d’informazione. Ai giovani si parla troppo poco di medicina e di tematiche sociosanitarie e questo è un errore perché i giovani devono essere informati. Credo dunque che questa vostra iniziativa, in sinergia con il Corriere dello Sport, sia un’iniziativa importante, utile e certamente è il modo migliore per parlare a tanti individui diversi.