Un passato nella Direzione Distrettuale Antimafia e il  presente alla guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Raffaele Cantone è un magistrato che lavora quotidianamente per sconfiggere le piaghe criminali peggiori del nostro paese. Oggi era ospite dell’Università Niccolò Cusano, per dare il suo contributo a un prestigioso Convegno e ai microfoni dell’emittente dell’Ateneo, Radio Cusano Campus (89.100 in fm e in streaming www.radiocusanocampus.it) dove nel programma HO SCELTO CUSANO, ha rilasciato un’intervista interessante ed emozionante.

Quali sono gli aspetti maggiormente positivi che ha riscontrato durante la sua attività?

“Gli aspetti positivi che sto verificando sono tanti, persino maggiori di quanto immaginassi. Io sto verificando da parte delle pubbliche amministrazioni una disponibilità e una grande volontà, almeno di una parte delle pubbliche amministrazioni, di provare  ad invertire il trend. La lotta alla corruzione non può essere fatta contro le pubbliche amministrazioni, bisogna valorizzare le parti migliori. Il processo però non può essere breve, perché bisogna intervenire sulle mentalità e per fare ciò non bastano giorni”.

Bisogna costruire una cultura della legalità nel tessuto sociale del nostro Paese?

“Assolutamente sì, ma più che parlare di generica cultura della legalità, preferisco parlare di cultura della responsabilità, cioè cultura in base alla quale i soggetti sappiano quali sono i loro diritti ma anche i loro doveri, soprattutto da parte degli organi che svolgono funzioni pubbliche, e anche da parte dei cittadini. I cittadini non possono solo accampare diritti, hanno anche loro doveri e responsabilità. E spesso i cittadini abdicano alle loro responsabilità, preoccupandosi di lamentarsi dopo. La cultura della responsabilità che è carente nella maggior parte del Paese, è quella su cui bisogna lavorare”.

Ha fiducia sul fatto che il cambiamento possa passare anche dalle nuove generazioni?

“L’atteggiamento nei confronti degli studenti per me è caratterizzato da un complesso di sentimenti. Io ho una figlia che studia giurisprudenza quindi, anche sotto questo profilo, sono decisamente coinvolto. Il primo atteggiamento è di grande preoccupazione per il loro futuro, perché spesso le energie migliori del nostro Paese sono costrette ad andare via. Essendo io meridionale, questo meccanismo è ancora maggiore nella realtà da cui provengo. Poi bisogna evitare banalizzazioni. Non è vero che i nostri ragazzi sono disinteressati rispetto a certi temi, sono molto più smaliziati di quanto immaginassimo. I ragazzi sanno benissimo che attraverso lo studio si possono creare le condizioni per cambiare sul piano personale, ma anche per provare ad utilizzare quel livello di maggiore cultura in una logica di utilità sociale. Io credo molto in questo passaggio, però voglio provare ad evitare un’ambiguità, quella di dire ai giovani: pensateci voi. La nostra generazione ha fatto molti danni e non può chiedere a quella successiva di ripararli, dobbiamo cominciare noi”.