Roma, 1° maggio. Piazza del Popolo è assolata e gremita di turisti. La capitale, ancor più in Primavera, è in grado di regalare emozioni, profumi e scorci unici. A Piazza del Popolo, però, a farla da padrone ci sono loro: i venditori abusivi. Che hanno tutto: dalle rose alle mascherine per i telefonini, dalle aste per i selfie (che vanno a ruba, a quanto pare) a braccialetti portafortuna di ogni tipo. 

I venditori abusivi, che l’occhio di un turista disattento potrebbe anche considerare una simpatica variabile ormai entrata a far parte del paesaggio, rappresentano un problema serissimo: dal punto di vista del decoro ma ancor più per quanto concerne il movimento d’economia sommersa cui danno vita. La loro concorrenza nei confronti dei commercianti onesti, infatti, è più che scorretta: i venditori abusivi non pagano nulla. Affitti, tasse, contributi. Niente. E purtroppo, almeno per quello che abbiamo avuto modo di vedere il primo maggio, fanno il bello e il cattivo di tempo, commerciando senza problemi in uno dei salotti più belli di Roma. Piazza del Popolo, appunto.

Più volte nella trasmissione che conduco su Radio Cusano Campus con Andrea Di Ciancio abbiamo affrontato la problematica legata ai venditori abusivi. Così ho provato, proprio il primo maggio, ad intervistarne qualcuno. Devo dire che la prima cosa che mi ha colpito, oltre alla quantità di venditori abusivi presenti a Piazza del Popolo, è stato l’astio. Appena cercavi di spiegargli che avresti voluto conoscere la loro storia, capire dove comprano la roba, quanto guadagnano e a chi devono rendere conto, si allontanavano tutti, indispettiti.

Solo uno, tra i tanti venditori abusivi presenti, ha accettato di fare due chiacchiere con me. Raccontandomi cose che, francamente, mi hanno lasciato sorpreso: “Vengo dal Bangladesh, faccio questo lavoro da un anno”, ha iniziato.

Gli ho chiesto da dove arrivassero le cianfrusaglie che ogni giorno prova a vendere nel cuore di Roma: “Arrivano da Piazza Vittorio, le compro dai cinesi. Un’asta per i selfie la pago 2 euro e qui la rivendo a 8-10 euro”.  I guadagni del venditore abusivo che abbiamo intervistato variano di giorno in giorno: “Ci sono volte in cui torno a casa con 50 euro, altre volte che ne faccio 20, giornate in cui non guadagno niente”.  Sembra essere un tipo svelto, in grado di comprendere abbastanza bene la nostra lingua, ma ogni volta che gli chiedo se ci sia un capo dietro a lui, qualcuno cui debba render conto, mi risponde che non ha capito bene la domanda, perché non conosce la lingua.

Faccio finta di crederci e cerco di scoprire altre cose. Dove dorme, ad esempio: “A Termini, in un appartamento di un italiano. Siamo dieci persone a dormire lì, in tre stanze. Per dormire pago 200 euro al mese”.  Il nostro abusivo parla come un professionista del marketing: “Tra un mese parto, vado al mare. A Ostia? No, che Ostia. Vado in Sardegna, a Olbia. Là arrivano i turisti, si guadagna”. Cerco di fargli notare che in realtà lui questo lavoro non potrebbe farlo: “Ma io non ho il permesso di soggiorno, posso fare solo questo per guadagnare qualche soldo. Nell’ultimo mese, tra spese, affitto e cibo ho messo da parte 200 euro”.

All’improvviso smette di parlare, si guarda intorno, un fischio ha attirato la sua attenzione. Gli chiedo se stiano arrivando i vigili: “Sì, sono in giro, devo stare attento”. Poi torna calmo. Cosa rischia, se lo beccano? Lui ghigna. Fastidi e multe. Gli chiedo se gli abbiano mai fatto una multa. Scoppia a ridere: “Ho accumulato 5160 euro di multa. Ma tanto non le pagherò mai”.

Lo saluto e mi allontano. Pensando ai poveri commercianti romani massacrati da fisco e burocrazia. Sempre più convinto che chi riesce ad alzare la serranda ogni mattina, senza arrendersi, debba essere considerato una persona coraggiosa. Anzi, un eroe.