Se dovessimo tracciare l’identikit ideale dell’allenatore moderno alla fine verrebbe fuori il volto di Stefano Pioli. Il mister della Lazio che nel corso di questa stagione sta stupendo tutti, che è arrivato a Roma in punta di piedi, e che senza fare rumore, senza mai alzare la voce, senza mai regalarsi atteggiamenti da prima donna, sta regalando alla società capitolina una stagione esaltante. 

Stefano Pioli, l’allenatore moderno.  Pioli è l’allenatore moderno perché ha delle idee precise di gioco. Regala alla propria squadra una identità importante, in cui si vede l’impronta del mister e in cui dal punto di vista tattico niente viene lasciato al caso. Pioli è l’allenatore moderno, però, perché non è mai schiavo delle sue convinzioni. Mette la tattica al servizio del talento. Non chiede al talento di appiattirsi nella tattica. Basta prendere in considerazione l’esplosione di Felipe Anderson: sì, il brasiliano ha compiti di copertura importanti. In fase di non possesso può anche capitare di vederlo fare l’esterno di difesa. Ma ha anche una grande libertà di esprimersi. Di inventare. Di creare gioco. Pioli è l’allenatore moderno perché alterna senza problemi il 4-3-3, il 4-2-3-1 e il 4-3-2-1, perché sa benissimo che alla fine contano le idee e gli uomini più dei numeri. La sua squadra fa spettacolo, crea tantissime occasioni da gol in ogni partita, ma quando c’è da stringere i denti cerca di farlo senza scomporsi, usando anche la sciabola al posto del fioretto. E la prestazione di ieri a Napoli, intelligentissima, ne è la dimostrazione.

Pioli è la più bella sorpresa di questa stagione biancoceleste. Perché se in estate in tanti avrebbero voluto Donadoni o Allegri, lui è riuscito a ricompattare un ambiente saturo, a dare nuova vita a giocatori che sembravano ormai aver finito il proprio ciclo nella capitale, a inserire immediatamente in un contesto complicato come quello romano De Vrij (in tanti ancora non hanno capito quanto sia forte questo difensore), a dare le chiavi della squadra a Biglia, ed è stato bravo a non mollare dopo le prime cinque o sei partite, quando il gioco spumeggiante gli dava ragione ma i risultati, invece, gli avevano consegnato una Lazio agli ultimi posti della classifica.

Pioli è l’allenatore moderno, su questo non ci sono dubbi, ma Pioli, il mister della Lazio, è anche un uomo all’antica: quando parla ti guarda in faccia, è sempre deciso ma non alza mai la voce, educato ma fermo, convinto delle proprie possibilità ma mai arrogante, in questo calcio che è sempre più in mano a primedonne isteriche e viziate Pioli sembra sbucato dal passato, mai una parola fuori luogo, mai una dichiarazione sopra le righe.

Pioli è l’allenatore moderno che in settimana cura ogni minimo dettaglio sul match che attende la sua squadra, ma è l’uomo all’antica che alla fine di una impresa come quella del San Paolo raduna tutti i propri calciatori al centro del campo e gli fa intonare l’inno della Lazio, in segno di gratitudine verso la squadra che lo sta lanciando nell’olimpo del calcio italiano e soprattutto, in segno di affetto verso quei tifosi che hanno spinto la Lazio verso l’impresa, invadendo la Stazione Termini prima della partenza di Anderson e compagni per Napoli.

Stefano Pioli, allenatore moderno e uomo all’antica: la testimonianza vivente che la gavetta paga e che per regalarsi grandi traguardi non serve eccedere nelle dichiarazioni o negli atteggiamenti, basta lavorare sodo. Ieri l’allenatore della Lazio era raggiante, ma ripeteva: “Non abbiamo fatto niente”. E’ vero. Nessun titolo è stato ancora conquistato e la corsa alla Champions League è tutta da giocare. Ma Pioli ha già fatto un enorme miracolo: ha ridato la Lazio a quei tanti tifosi che se ne stavano allontanando. E questo vale più di ogni Coppa.