Le cose sono due: o esprimere solidarietà ai cristiani non va di moda, non è intellettualmente in ed è quindi un passaggio che spesso viene evitato nei salotti bene di questa Italia sempre più radical chic, oppure visto che i morti non sono bianchi, ma di colore non fanno notizia, nel più razzista dei concetti e nella meno accettabile delle verità.
Mi spiegate, altrimenti, perché il mondo se ne frega del massacro che i cristiani subiscono da anni in Nigeria? Oppure ditemi perché il mondo se ne è beatamente fregato dell’attacco all’università in Kenya? Perché diciamolo, il mondo di quello che è accaduto nell’università in Kenya se ne è fregato: rispetto a quanto accaduto quando fu attaccata la redazione di Charlie Hebdo l’interesse dei media è stato pari allo zero.
E sembra essere rimasto solo il Papa a ripetere che il pianeta non può voltarsi dall’altra parte, che l’occidente non deve disinteressarsi, che la solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati nei vari angoli della Terra deve essere espressa, non solo a parole.
C’è voluto Briatore a denunciare i due pesi e due misure: “Erano studenti che non ce l’avevano con Maometto, erano in questo campus e sono stati trucidati. La cosa sconvolgente – ha sottolineato Briatore – è che chi era cristiano è stato decapitato, e chi non lo era è stato lasciato andare, ma le reazioni che ho visto sono state molto deboli. I nostri ministri li ho visti a tutti i tg e i talk show ed erano tutti ‘Charlie’, questa tragedia vera, che poteva succedere in Tanzania, o anche in America, è passata in secondo piano”.
Purtroppo Briatore ha ragione. E questo razzismo mediatico nei confronti dei cristiani perseguitati trova anche riscontro in altri numeri, che stavolta arrivano dalla Nigeria, in cui dal 2012 in poi sono stati uccisi per la sola colpa di manifestare un credo diverso rispetto a quello musulmano più di 1000 persone, nel silenzio generale di un mondo che si indigna a comando.
Allora, non interessa a nessuno dare solidarietà ai cristiani perseguitati. Non fanno audience. Oppure un attentato che fa morire neri piuttosto che bianchi ha meno appeal mediatico, non ci sono hashtag da lanciare, e soprattutto, mancano interessi economici da coltivare. A che cosa sto alludendo? Chiedetevi dove sia finito finito “Je suis Charlie”, quel logo immediatamente trasformato in hashtag e poi in marchio registrato.