Franco Califano. Tutto il resto è noia. Un gioco dialettico fin troppo facile, facendo il verso a quello che è stato a detta di molti il suo più grande capolavoro, ma non solo. Franco Califano, tutto il resto è noia. Nel senso che poche altre volte la storia della musica italiana abbiamo incontrato un personaggio così denso, controverso, libero. 

Franco Califano se ne è andato il 30 marzo del 2013. E in tanti credono che la sua figura sia stata decisamente sottovalutata, soprattutto in alcuni salotti radical chic, che tendono ad essere terribilmente esterofili e che poco hanno a cuore le sorti di chi si è fatto da solo, tra tormenti, periferie, tornanti della strada e dell’anima, inversioni a u, donne, solitudine,  errori pagati a caro prezzo e quella sensibilità artistica ed umana che solo le personalità più fragili e dure al tempo stesso possono vantare.

“Giovani lo si è sempre, se lo si vuole”, amava ripetere Franco Califano, che è stato un giovane vecchio e un vecchio giovane insieme.  Si d’accordo ma poi, tutto il resto è noia. Ed ha ragione: perché come fai a commentare uno che scrive “Io piango quando casco nello sguardo de n’cane vagabondo, perché se somijiamo in modo assurdo, semo due soli ar monno”, o ancora “La nevicata del ’56”, di più “Roma Nuda”, il top, “La mia Libertà”.

Franco Califano avrebbe meritato più rispetto ed attenzione. Nessuno mi toglie dalla testa che se fosse nato in Francia, probabilmente sarebbe diventato una star mondiale. Invece era un cuore di borgata, e per molti è stato poco più che un fenomeno di costume. Una cosa è certa: chi non ha apprezzato i testi, le poesie, la voce e i versi di Franco Califano, non saprà mai cosa si è perso.

Perché c’è lui. E tutto il resto è noia.