Uno dei gruppi underground più importanti in Italia si lancia in un’avventura discografica che ha dell’unico. In cosa consiste lo spiega benissimo il comunicato stampa dei Modena City Ramblers: “Ci sono altri brani, invece, che il pubblico non si aspetta, su un disco non li ha mai ascoltati ma li ha sentiti qualche volta dal vivo, in concerto. Sono tracce particolari, mai registrate, oppure comparse solo in dischi oggi introvabili, canzoni spesso di altri autori che rientrano a pieno nel registro culturale e musicale dei MCR e che hanno particolarmente influenzato la band. E’ arrivato il momento per questi brani di uscire allo scoperto e fare capolino nel nuovo disco dei Modena City Ramblers, TRACCE CLANDESTINE”. Parliamone di più col cantante Dudu, Davide Morandi.

Si può definire un disco di chicche, da oggetti curiosi mercatino freak?
Non mi dispiace vederlo così. Fondamentalmente è un disco figlio del tour il cui compito è un po’ fare una summa di vent’anni di vita discografica. Non avevamo voglia di metterci sotto per un nuovo album di inediti, anche perché ne avevamo pubblicato uno doppio due anni fa, per cui questo file rouge del nuovo lavoro ci sembrava stimolante ed anche molto rilassante. In fondo sono canzoni che suoniamo da una vita.

Parliamo di brani eseguiti live nella vostra carriera e mai registrati. Quanto siete lontani dal pop?
Ma è sempre stato così. Siamo nati come gruppo di cover di pezzi irlandesi e poi, negli anni, ci siamo aperti alla canzone d’autore italiana e al mondo più in generale ma è ovvio che non possiamo rientrare in canoni pop tradizionali in cui prima si costruisce la canzone e poi, solo se vende bene, si porta in giro.

Da quanto tempo vi auto-pubblicate i dischi?
Non saprei dire da quanto tempo virtualmente sia attiva la ModenaCityRecords ma già negli anni novanta stampavamo Paulem ed altri. Noi, come band, ci siamo appoggiati molto alla Mescal mentre adesso facciamo tutto da soli tranne la distribuzione che è curata dalla Universal.

In arrivo il solito tour corposo. Felici di tornare in Europa?
Molto. Ci è capitato di suonare più di una volta fuori dall’Italia ma ogni volta è una bella emozione e sarebbe interessante farlo in modo più continuativo. Forse quest’album potrà aiutarci visto che è quello meno cantato in italiano della nostra produzione.

Chi è Luis Sepulveda per voi?
È un artista immenso, ancor di più rispetto a noi mestieranti. La sua presenza è sempre importante per noi. Sa essere, in modo inconsapevole, fonte d’ispirazione anche solo quando ceniamo insieme.

Avete da sempre avuto un rapporto stretto coi vostri fan. Siete dei social viventi?
È una definizione molto bella che ruberò per il futuro. I nostri concerti sono momenti di socializzazione ed è per questo che alcune persone, ormai amici per noi, si fanno migliaia di chilometri per venirci a trovare.

Come sta messa la musica in tv?
È incastrata nelle morse della competizione. Non ho nulla contro i talent ma non dovrebbero essere l’unico modo di fare musica nel piccolo schermo. All’estero, da dove questi talent arrivano, non è così ma noi copiamo solo quello che ci pare.

Ti regalo una spada laser…
La userei per minacciare chi potrebbe far star meglio la musica in Italia ma credo che non si spaventerebbe più di tanto.