Silvio Muccino ospite in televisione  di Daria Bignardi, rappresenta per chi scrive, una miscela non sopportabile al bulbo oculare e al padiglione auricolare. Ma a volte le intolleranze televisive, quella celiachia da digitale terrestre, ti attrae in modo irresistibile, pur sapendo che soffrirai. Mi sono così sottoposto a questo Bondage televisivo, consapevole che avrei provato solo dolore psichico nell’osservare i due confrontarsi sull’ultimo film del Muccino più giovane, “La legge del desiderio”, dove lo stesso regista interpreta il ruolo di un Life Coach, che a me sembra, ai limiti del plagio, molto somigliante al personaggio interpretato da Tom Cruise nella pellicola “Magnolia”. Non ero interessato alla discussione sul lungometraggio, scusate la presunzione, ma dopo centinaia di film visti e rivisti anche per motivi professionali, so cosa aspettarmi dai Muccino. Li cito entrambi, perché inevitabilmente la Bignardi ha spostato il discorso sul melodramma familiare: i due fratelli che non si parlano più, il distacco dai genitori, una vicenda di una noia mortale, di cui Muccino(Silvio) dice di non volerne parlare, ma poi risponde a tutte le domande della Bignardi. Allora ho cominciato a pensare al cinema italiano, a cosa avrebbe risposto Gian Maria Volontè durante queste interviste molto pop. Ho cominciato a pensare a quanto rigore e serietà c’era un tempo nel fare arte, a quanto poco spazio al futile veniva lasciato nella comunicazione cinematografica. Lo spettacolo televisivo delle “Invasioni barbariche” ha avuto una sola funzione utile: quella di mostrarci una delle cause del declino inesorabile del cinema italiano, il delitto di averlo trasformato in arte di passaggio, come il film di Muccino,che non era l’elemento centrale  dell’intervista, ma un pretesto, un chiave per entrare in casa Muccino e sperare che in diretta, Silvio facesse come il protagonista di “Festen”, feroce  lungometraggio di Vinterberg. La fiction melodrammatica che sostituisce la rappresentazione artistica, che sopprime il ragionamento sull’opera cinematografica. Tutto questo mentre il cinema italiano respira a fatica.