La settimana che l’Università Niccolò Cusano ha deciso di dedicare su queste pagine alla sindrome di Down volge al termine. L’Ateneo di Via Don Carlo Gnocchi, attraverso la sua emittente radiofonica Radio Cusano Campus (89.100 FM a Roma e nel Lazio, in streaming su www.radiocusanocampus.it), ha sentito medici, esperti, associazioni e famiglie per veicolare verso il grande pubblico informazioni, consigli, avvertenze ma, soprattutto, esperienze. Esperienze di vita vissuta accanto ad un bambino, che poi diventa un ragazzo, che si trasforma in un uomo affetto dalla sindrome di Down. E se le prospettive di vita si allungano per coloro i quali sono colpiti da questa patologia, ecco che i fratelli assumo un ruolo sempre più centrale nella vita di questi ragazzi speciali. Radio Cusano Campus ha invitato a raccontare la sua esperienza il prof. Federico Girelli, titolare della cattedra di Diritto Costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza proprio all’Università N. Cusano, e “sibling” di Maria Claudia, una donna di 37 anni affetta da sindrome di Down.

Prof. Girelli cosa significa “sibling” e perché non utilizza la parola fratello?

“Sibling è un termine inglese che non ha un corrispettivo nella nostra lingua. Noi, ad esempio, facciamo un distinguo tra fratelli e sorelle, loro usano sibling. È una parola che racchiude in se il concetto di fratellanza senza distinzioni ed anche per questo il comitato di cui sono presidente si chiama proprio Siblings-Sorelle e Fratelli di persone con disabilità (www.siblings.it).

E cosa significa essere sibling di un bambino Down, con tutte le gioie ma anche le fatiche e i sacrifici che immagino comporti?

«Mi lasci partire dalla fine. Ricordo le parole di uno scienziato inglese che la scorsa estate fecero scaturire un gran polverone. Disse che, alla luce delle possibilità che ci concede la scienza di diagnosticare la sindrome di Down ad un feto prima che nasca, farlo nascere risulterebbe immorale. Ho sentito dire spesso che un figlio, o un fratello, affetto da una grave disabilità debba essere considerato come una benedizione. Io non amo raccontare favole alla gente: non è una benedizione e seppure lo fosse dovrebbero essere gli stessi ragazzi, che subiscono in prima persona le conseguenze della loro disabilità, a dirlo. La cosa che dico senza indugio è che avere un fratello è una benedizione e ringrazierò sempre i miei genitori di aver messo al mondo Maria Claudia, oltre a Giovanni e Raffaella che sono i miei fratelli più grandi».

Ricorda l’arrivo a casa di Maria Claudia e come le spiegarono la sua patologia?

«È stata Raffaella a spiegarmi quel che aveva Claudia. Quando è nata avevo circa sei anni: non capivo che cosa fosse successo. Vedevo mio padre nervoso, mia madre stravolta. Sapevo che Claudia era malata di cuore, ma che con un’operazione sarebbe guarita. Il problema ancor più serio si chiamava, genericamente, ritardo mentale. Un eufemismo che io, comunque, non riuscivo a capire. E allora Raffaella me lo spiegò proprio come il medico lo spiegò a lei e mi disse: “Hai presente l’Archimede Pitagorico dei fumetti? Ogni volta che ha un’idea… tac, gli si accende una lampadina sulla testa. Ecco, a Claudia, quella lampadina, si accende molto, molto dopo”. Mi feci bastare quella spiegazione».

Dopo tanti anni a stretto contatto con Claudia e dopo aver raccolto le esperienze di tanti siblings come lei, cosa ritiene fondamentale nello sviluppo di un ragazzo con sindrome di Down e cosa per i fratelli che stanno loro accanto?

«Innanzi tutto devo specificare che mia sorella non parla, pronunciava alcune parole da bambina ma poi le ha perse. Mia madre le ha fatto frequentare per tanti anni la logopedista ma senza risultati. Un giorno ho letto nei suoi occhi lucidi, mentre facevamo insieme alcuni esercizi, l’immensa difficoltà che aveva nell’applicarsi, in un certo senso mi chiese di smettere di insistere e io credo che sia rispettoso non spingerli fin dove noi vorremmo che loro arrivassero. Ma non tutti sono come mia sorella ed io credo che sia fondamentale la scuola, l’istruzione di base, attraverso un percorso scolastico li si aiuta anche ad entrare nel mondo del lavoro, a farli spostare autonomamente con i mezzi pubblici. La formazione è un passaggio fondamentale per coloro i quali sono in grado di percorrerlo. Per quanto riguarda me è stato importante confrontarmi con altri fratelli come me, a volte avere la possibilità di esprimere la propria stanchezza e la propria frustrazione a persone che la vivono esattamente come noi, ci solleva da tanti sensi di colpa. Voglio sottolineare come il Comitato Siblings e tutte le sue iniziative e attività, tra le quali tanti corsi di auto-mutuo soccorso, siano fatte e pensate dai fratelli per i fratelli di persone con disabilità».