Fuga, esodo, viaggio della speranza: il fenomeno dei ricercatori italiani che espatriano per trovare una collocazione idonea al percorso di studi sostenuto è divenuto così sistematico ed ha assunto proporzioni così grandi che non si sa più come definirlo. Il dato relativo agli ultimi 10 anni è a dir poco allarmante: su 100 ricercatori precari l’università italiana ne ha abbandonati 93, lasciati liberi di andare ad arricchire economie straniere con le loro competenze o, nel peggiore dei casi, destinati a cambiare vita, ambizioni e professione. Se ci si mette pure la questione turn over, bloccato nel 2014, si arriva al numero record di 2183 individui persi tra docenti e ricercatori. Alla luce dei 2324 pensionamenti sono stati attivati 141 ricercatori di tipo b, cioè quelli che poi, dopo 3 anni possono essere stabilizzati.

E mentre tutto sembra andare a rotoli continuano ad aumentare i contratti precari, dai 6mila nel 2004 agli oltre 14mila del 2014, con il comma 29 dell’articolo 28 della nuova legge di stabilità che non promette di risolvere la questione, tutt’altro: attraverso questa norma viene eliminato l’obbligo, inserito nella precedente riforma Gelmini, di attivare contratti di tipo b per i ricercatori quando un docente va in pensione, «contratti che almeno in futuro garantivano un’assunzione a tempo indeterminato: quel comma – spiega Francesco Vitucci, uno degli autori della ricerca ed ex ricercatore precario – invece è la pietra tombale sul reclutamento universitario». E in questo senso il 2015 non sarà un anno migliore rispetto al precedente, infatti scadranno  gli assegni di ricerca della durata massima di 4 anni non rinnovabili.

«Cala il numero dei docenti, cala il numero dei ricercatori, calano le immatricolazioni: c’è stata una ristrutturazione anarchica dell’università, c’è una parte dell’establishment economico (ma anche politico) che combatte l’idea di una funzione sociale dell’università, invece oggi c’è bisogno di un progetto urgente, ma che sia legato a tutto il sistema Paese», spiega Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc Cgil che accusa governo e Miur di essere totalmente disinteressati all’università.

«Sono stanca di fare il panda, basta con le pacche sulle spalle: noi vogliamo un impegno serio, siamo persone con anni di ricerca e studio alle spalle, abbiamo competenze acquisite qui in Italia, vogliamo spenderle qui, non all’estero». Queste sono le parole di Valentina Bazzarin, 34 anni, bolognese, ricercatrice di Scienze Politiche, ma potrebbero essere le dichiarazioni di ognuno dei 151mila ricercatori italiani, un esercito sguarnito e indifeso se comparato ai colleghi tedeschi (520mila) ed inglesi (429mila).