Come stanno i ragazzi fuori dai confini dell’Italia? Ce lo racconta il trio Fabi Silvestri Gazzè o, meglio, ce lo racconta il loro tour europeo narrato attraverso l’interessante documentario di Francesco Cordio “Localeuropa, musica valida per l’espatrio”. Novemila chilometri a bordo di un pulmino rosso in compagnia dei tre cantautori romani e della telecamera del regista per un racconto a spasso tra le principali città d’Europa e i sogni di una generazione che è costretta a scappare dalle paludi di un paese sommerso. Lasciamo che sia lo stesso Cordio a portarci per mano dentro al suo lavoro.
Come riassumeresti il concept del tuo documentario?
Lo definirei un viaggio nelle città europee per tentare di tracciare un affresco dei profili degli italiani che hanno deciso di andare a vivere all’estero.Un affresco gioco forza incompleto, visto che ogni storia è a sé stante.Sogni, ambizioni, successi, insuccessi, frustrazioni. Il tutto, rimanendo nella metafora con la pittura, dipinto con le parole e gli occhi di tre cantanti impegnati in un tour musicale europeo molto impegnativo. Una sorta di loro erasmus musicale, in viaggio con un furgone e senza altri musicisti.
C’è una città che ti ha stupito di più? Magari un posto che ti aspettavi o ti ricordavi davvero diverso?
Il tour che abbiamo seguito con una troupe piuttosto leggera, Mario Pantoni alla fotografia e Daniele Cignini al suono e alla seconda camera, era davvero serratissimo. Non abbiamo mai dormito più di due notti di fila nella stessa città. Il tempo “libero” per girare e rendersi conto di come si vive in quelle città non c’è stato.
Di sicuro, se dovessi riferire con un po’ di approssimazione, direi che Berlino è stata una bella conferma e Valencia una grande scoperta.
Che atmosfera c’era ai concerti del trio?
In molte città c’era l’attesa tipica dell’evento dell’anno, con il valore in più che legava tutti i presenti che era l’amore per l’Italia che anche se se ne scappa è sempre molto forte. Il pubblico era entusiasta per la presenza dei tre artisti, ricordo una delle frasi più belle gridate dal pubblico: “siete l’Italia che ci manca”. Segno che dopo tanti anni hanno ormai raggiunto una importante credibilità artistica.
La serata che ha saputo sprigionare più magia?
Non saprei, credo quella di Parigi, in cui il pubblico era praticamente sul palco e quindi il tenore è stato subito molto intimo.
Hai scoperto come se la cavano i ragazzi all’estero?
Tutti gli italiani che abbiamo incontrato hanno dimostrato una grande capacità di adattamento, ma anche inventiva e colpi di genio tipici del savoir-faire italiano (arte di arrangiarsi diremmo noi). Tra le tante storie ricordo quella di un dj romano che si occupa di finanza in Lussemburgo, un avvocato romano che ha aperto una pasticceria a Bruxelles, il giovane sindaco veneto di Camden, il genio matematico toscano a Londra, un chimico fisco che a Colonia ha portato la moglie ed ora hanno messo su famiglia con tre figli, un laureato in economia che dopo un impiego in banca ha mollato tutto ed ha aperto una tavola calda a Valencia.
Per non parlare dell’architetta che ora organizza matrimoni gay a Barcellona. Insomma direi che se la cavano piuttosto bene.
Alla fine di questo vostro viaggio, cosa è emerso? Conviene rimanere o andar via?
Non so cosa convenga, è molto soggettivo. L’importante è che se qua ci si sente mal valutati e frustrati si deve partire solo se molto motivati, e con la disponibilità a rinunciare a qualche sogno. Tutti quelli che abbiamo incontrato sono convinti che quello fanno all’estero, non lo avrebbero mai ottenuto in italia. Anche se molti non nascondono che gli piacerebbe ritornare in italia.
Quanto è importante la scommessa che Rai Tre fa su questo documentario? E’ una vetrina importante!
Quando ho proposto il film alla Capostruttura di doc3 (il programma che ospita il film) ho avuto subito una risposta favorevole, direi entusiasta. A quanto pare l’argomento Europa è molto gradito in tv e certamente il valore aggiunto è stato quello dei narratori d’eccezione che ho individuato in Daniele Silvestri, Max Gazzè e Niccolò Fabi.
In qualche modo hai vissuto di riflesso un mese da musicista. E’ una vita che ti affascina?
Questo tour è stato faticoso per tutti. Sia per i musicisti che per noi della troupe. 9.000 km in furgone in poco più venti giorni non è proprio invidiabile… Non ho potuto cogliere un aspetto affascinante di quel lavoro. Ho trovato invece molto bella la fase di montaggio di questo film, perché ricco di momenti musicali dai concerti effettuati nelle città europee che abbiamo visitato.
E’ possibile vedere un filo rosso che passa da “Tutti giù per aria” a “Lo Stato della follia” fino a quest’ultimo lavoro? Parli di diritto alla felicità?
Lascio questa bella analisi all’arguzia del cronista che magari potrebbe metterla nel cappello del’articolo. Bravo, complimenti.