Anche il gioco più amato del nostro paese, il calcio, a volte deve far fronte alle critiche dei suoi detrattori. Chi questo sport lo vede senza gli occhi dell’amore, ne parla come la rincorsa affannosa di ventidue uomini in mutande alla caccia di una sfera rotolante. Il calcio, soprattutto quello che i bambini amano tifare e praticare, vale molto di più. Il grande potere di attrazione che il calcio ha sull’universo giovanile consente a questa disciplina di porsi come uno straordinario strumento culturale per la crescita dei ragazzi. La natura popolare ed universale del calcio e la sua conseguente dimensione multidisciplinare lo rende un linguaggio altamente condiviso, capace di affiancare le tradizionali istituzioni formative, in primis la scuola, nel processo di sviluppo culturale e di integrazione dei ragazzi, offrendo occasioni di partecipazione che allontanino forme di individualismo e isolamento. Fabio Bartoli, un passato da calciatore, una laurea in scienze motorie e un patentino conseguito per allenare giovani calciatori, da più di venti anni dedica la sua vita a quei piccoli appassionati di questo sport che tirano i primi calci ad un pallone per amore e passione.
Dott. Bartoli, da poco è entrato a far parte dello staff tecnico della scuola calcio Rome Soccer School UniCusano e da circa un mese, lavorando gomito a gomito con allenatori ed istruttori, si occupa del programma didattico che, attraverso il calcio, ha lo scopo di contribuire allo sviluppo del bambino con obiettivi mirati che rispettino la sua crescita. Quali sono questi obiettivi? Qual è il suo approccio metodologico?
“Alla Rome Soccer School UniCusano abbiamo bambini dai 5 ai 12 anni e approcciamo al loro inserimento in questa disciplina seguendo le linee guida che la FIGC ci fornisce in materia. Se parliamo della categoria “Piccoli amici” (5-8 anni) gli obiettivi che si perseguono sono quelli relativi al divertimento puro, alla conoscenza della palla, all’integrazione e alla socializzazione. Dal punto di vista motorio ci occupiamo di coordinazione e ricerca della mobilità articolare. Nella categoria “Pulcini” (8-10 anni) viene inserito l’aspetto relativo all’importanza del compagno e di raggiungere insieme un risultato comune, oltre al perfezionamento di alcuni aspetti tecnici che riguardano il gioco del calcio. Per la fascia di età degli “Esordienti” (10-12 anni) è il momento di capire la funzionalità del gioco di squadra e la conoscenza e il rispetto dell’avversario, sempre con un occhio di riguardo per gli elementi coordinativi fondamentali”.
Quali sono i valori che questo sport è in grado di trasmettere e come si cerca di insegnarli alla scuola calcio Rome Soccer School UniCusano?
“Integrazione, socializzazione e rispetto delle regole innanzi tutto. Qui alla Rome Soccer School UniCusano crediamo che il modo migliore di insegnare questi valori sia l’esempio quotidiano. Siamo noi tecnici a dover dimostrare qual è il modello di comportamento ai nostri ragazzi e questo parte dalla cura di se stessi al rispetto dell’avversario. Questo processo interessa ed include anche i genitori che, alla stregua dei figli, dovranno capire che il risultato di una partita non conta se non si rispettano i valori fondamentali di questo sport”.
Da quasi 15 anni è collaboratore tecnico del settore giovanile e scolastico della FIGC. L’argomento salute è costantemente ai primi posti nell’agenda della Federazione perché la pratica sportiva deve essere sempre accompagnata da una costante attenzione verso un corretto stile di vita. Il calcio può insegnare anche ai più piccoli l’importanza di vivere meglio e in modo sano?
“Senza dubbio e la stessa Federazione negli ultimi anni ha investito tempo e risorse per il controllo capillare di certificati medici ed idoneità all’attività sportiva. Questo per una questione di salvaguardia della salute ma anche di sicurezza, per le società, per i genitori e per i bambini che scendono in campo. In questo, soprattutto per ciò che riguarda i comportamenti alimentari, igienici e sanitari, ritengo fondamentale la sinergia scuola-sport”.
Tra le varie attività che ha svolto durante la sua carriera, ha fatto anche lo scrittore. In uno dei suoi tre lavori si è concentrato sulla concussione celebrale e il gesto tecnico del colpo di testa: saprà che uno studio americano ha inserito proprio il colpo di testa tra le cause della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), imponendo uno stop in questo senso ai giovani calciatori. Lei è d’accordo?
“Io ho avuto la fortuna di incontrare il prof. Vagnozzi, associato di neurochirurgia presso la facoltà di medicina e chirurgia di Tor Vergata, e anche grazie alla sua esperienza negli Stati Uniti, ho provato a riportare nel mio ambito alcune delle sue indicazioni. Senza parlare di un collegamento diretto tra il gesto tecnico del colpo di testa e la Sla, posso affermare che occorre avvicinare i bambini all’esecuzione di un colpo di testa seguendo criteri imprescindibili: usare palloni leggeri e non di cuoio, ripetere l’esercizio per un numero limitato di volte ed alternarlo ad altri tipi di applicazioni coordinative, lanciare il pallone con le mani e non effettuare cross da lunghe distanze, soprattutto con la forza che può imprimere un adulto rispetto all’impatto che può opporre un bambino. Non dico no ai colpi di testa, si possono fare ma con attenzione e criteri ben precisi”.