Amedeo Minghi è un patrimonio italiano che si tutela da solo. Perché il suo talento ha avuto la capacità di superare i decenni e le vicissitudini della vita ed ora ha la forza di raccontare belle pagine della storia della musica italiana. L’occasione è l’album “Suoni tra ieri e domani” in cui affida a dieci canzoni scritte in passato per grandi nomi come Gianni Morandi e Andrea Bocelli il ruolo da Cicerone. Nel disco c’è anche un’undicesima traccia inedita. Lasciamo che a raccontarci il tutto sia lo stesso artista.

Si può considerare questo tuo lavoro un po’ anche un regalo di Natale per te? In fondo è come vedere tornar a casa tutti i propri figli per una cena insieme…
Amedeo Minghi – Sì, certo. È una lettura che mi piace. I miei figli, in questi anni, si sono messi in bella mostra, hanno viaggiato in giro per il mondo ed ora sentono il bisogno di tornare da me. È un ritorno piacevole, poi, perché ora ha la consapevolezza per mettere a fuoco la loro identità pianoforte e voce. I testi, in questa veste, vengono più fuori, brillano. Essendo canzoni mie me lo posso permettere perché non ho bisogno di orpelli.

Com’è nato “Io non ti lascerò mai”, unico inedito dell’album”?
Amedeo Minghi – Le canzoni arrivano quando vogliono loro. C’era la tragedia personale della perdita di mia moglie e la necessità di raccontare un dolore immenso. Ho preferito non farlo in prima persona ma attraverso la metafora di Orfeo ed Euridice. La vita si intreccia con l’arte in modo che non possiamo mai immaginare.

Mentre scrivevi queste perle ti accorgevi di fare la storia della musica italiana?
Amedeo Minghi – Strada facendo non me ne sono reso conto. Premesso che questo lavoro non è un bilancio perché non mi fermo qua, è ovvio che faccia un certo effetto guardarsi indietro. Alcune mie composizioni hanno cambiato carriere, ne hanno fatto iniziare altre. Penso a Mietta, ai Vianella e anche a Franco Califano, che scriveva da tempo per altri ma ha esordito come cantautore con me.

Ti è mai dispiaciuto lasciare una tua canzone a qualcun altro?Amedeo Minghi – No ma perché non ho mai dato agli altri cantanti brani che amavo profondamente. Per esempio “1950” me la chiese per molto tempo Gianni Morandi ma era qualcosa di troppo personale. Ci sono andato, contro la mia volontà, al Festival di Sanremo arrivando ultimo insieme a Vasco Rossi, e l’ho cantata in giro per l’Italia. Solo dopo un po’ di tempo l’ho sentita pronta per essere interpretata da Gianni che, grazie alla sua popolarità, l’ha riportata in auge.

E il contrario. Qualcuno ha saputo stupirti nella sua versione?
Amedeo Minghi –  Andrea Bocelli. Scrivo un pezzo per lui un periodo che ero in Sicilia e gli mando il provino. Lui va insieme a Celso Valli fino a Londra e, quando torna, mi porta una versione che aveva lo stesso arrangiamento mio. Là per là non ho capito poi, di persona, mi ha spiegato che non ha voluto toccare quello che avevo fatto, tanto che non l’ha neanche voluto cantare da tenore, perché era perfetto così. È stato un bellissimo attestato di stima e rispetto.

Presenterai il cd live a Bologna, Torino e Milano. È importante suonarle davvero queste tue riappropriazioni?
Amedeo Minghi – Più che altro è importante per me tornare in teatro. Ne ho fatto tanto, per circa 15 anni, ma manco da quel mondo da troppo tempo e devo riavvicinare quel pubblico che mi ha atteso molto. Non so come andrà ma sono certo che sarà per tutti un viaggio in quello che io chiamo il “nostro comune passato”.

Considerando che hai fatti diversi, cosa ti aspetti dal Sanremo di Conti?
Amedeo Minghi – Credo che, se porterà almeno tre o quattro di quelli della mia generazione che possano garantire la presenza di canzoni popolari, sarà un bel festival. Spero non si affidi solo ai talent ma non credo, Conti mi sembra uno diverso.

Ti regalo un sasso. Cosa ci fai?
Amedeo Minghi – Lo lancio nell’acqua per fare dei cerchi. Le onde che vanno sono la vita.