Prof. Drago ci aiuti a definire il trend secondo cui i nostri laureati emigrano in altri paesi. Sentiamo parlare di “Fuga dei cervelli”: come possiamo definire il fenomeno?

Il fenomeno in realtà non è affatto nuovo. L’Italia, in particolare, ha da sempre esportato laureati all’estero. Va detto che però negli ultimi anni il fenomeno ha assunto dimensioni veramente rilevanti. In particolare il punto chiave che ci permette di definire come assolutamente rilevante il fenomeno è che l’Italia esporti laureati che abbia formato (sostenendo dei costi rilevanti) e che questi laureati vadano ad arricchire invece del nostro paese nazioni straniere.

In questo senso il profilo di chi va all’estero è laureato con voti alti, tipicamente del Nord, con varie tipologie di lauree che vanno da Ingegneria ad Economia. Ultimamente anche Medicina è cominciata ad essere una laurea che poi porta alla “fuga”. Le nazioni scelte sono tipicamente Gran Bretagna, Francia, Germania (il che in effetti è prevedibile come è possibile vedere da una serie di analisi relative alla qualità della vita). La fascia d’età in cui questo fenomeno è più forte è per la fascia 20-40 anni.

E’ importante dire che una determinante in generale della mobilità, come è ampiamente riconosciuto, è proprio la formazione. Laddove il singolo sia ben formato questo tende a considerare anche lo spostamento e dunque meglio formiamo un laureato, più probabile questo vada all’estero o comunque emigri.

E’ necessariamente un male questo?

Non è detto in effetti. In un mondo ormai pienamente globalizzato infatti è assolutamente atteso che laureati cerchino all’estero e in effetti uno scopo della formazione universitaria è quello di metterli in condizione di lavorare ai massimi livelli. E’ possibile poi che anche dall’estero possano avere un ruolo positivo per la crescita italiana, non è però detto che ad esempio laureati italiani ritornino poi in Italia. Questo quindi porta ad una perdita di risorse.

Quali sono le determinanti del fuggire a livello statistico?

Esistono varie analisi da parte dell’OECD sul wellbeing o sul benessere che possono essere considerate per valutare appunto la situazione italiana rispetto all’estero. In particolare è possibile valutare ad esempio in How life is in Italy? (2014) che una percentuale maggiore rispetto all’Europa e ai paesi maggiormente industrializzati definisce “non positivo” il proprio ambiente lavorativo. In particolare poi, considerando vari altri indicatori relativi alla qualità della vita, possiamo osservare come l’Italia performi peggio che l’estero. Ad esempio: life expectancy, jobs and earnings ed anche work-life balance. Questo significa semplicemente che i giovani tendono ad essere attratti non solo da stipendio e da prospettive di carriera ma anche dai servizi. In generale dunque il livello di qualità della vita è più basso.
Esistono delle determinanti statistiche ben precise che possiamo riconoscere nella fuga dei cervelli. In particolare i giovani tendono a preferire delle località con maggiori servizi e maggiori prospettive lavorative (database wellbeing dell’OECD). In questo modo non è solo la questione relativa alla difficoltà di sviluppare un percorso di crescita professionale ma è anche la possibilità di trovare dei luoghi in cui sia più facile vivere. Queste due determinanti possono “spiegare” la fuga dei cervelli.

E questo dato serve anche a spiegare il saldo negativo di cervelli che vengono in Italia rispetto a quelli che se ne vanno?

Esatto. Il saldo di laureati che vengono da noi rispetto a quelli che se ne vanno è negativo. Questo ancora una volta perché la capacità d’attrazione del nostro paese a livello di prospettive lavorative è inferiore. In particolare per 7 laureati italiani che vanno all’estero solo 1 viene in Italia. Una situazione similare a quella italiana è quella della Spagna. Ancora una volta il problema è quello di creare un sistema paese che attragga giovani laureati e in qualche modo motivi a far rimanere gli altri.


Fuga dei talenti: perché è negativo per la crescita economica?

Negli ultimi anni la ricerca ha considerato tra le variabili chiave della crescita economica, il capitale umano. Questo al pari di altri fattori, come le infrastrutture, contribuisce alla crescita economica di un determinato paese. Il che significa che permettono ad un paese di essere più ricco nel tempo. Molto spesso si discute della congiuntura economica (la crescita di breve periodo) dimenticando la rilevanza invece della crescita di lungo periodo. E’ necessario in questo senso considerare quindi un ciclo virtuoso relativo alla crescita economica: più competenze, più innovazione e più imprese in questo modo in generale più ricerca ed infine più produttività e crescita economica. E da questo già nel medio periodo si possono creare posti di lavoro.

Quali sono quindi “i canali” per cui la fuga dei cervelli impatta sulla crescita economica?

La fuga dei cervelli impatta in quanto è riconosciuto che spendiamo forti risorse nel formare giovani che poi decidono di emigrare. Cioè riduciamo la nostra crescita potenziale privandoci di capitale umano per “regalarlo” all’estero. Questo significa minore capacità di innovazione e minore capacità di crescita laddove all’estero regaliamo delle risorse preziose.